Coronavirus, gli anziani risorsa attiva e non “peso” della società: in Italia, oltre 7milioni sono dei caregiver

Coronavirus, gli anziani risorsa attiva e non “peso” della società: in Italia, oltre 7milioni sono dei caregiver

PALERMO – La pandemia, che da febbraio sta interessando il nostro pianeta da oriente a occidente, ha colpito duramente gli anziani. Questo, però, ha portato leoni da tastiera, politici e negazionisti da nord a sud a dichiarare che l’epidemia “non è così grave”, in quanto a morire sono solo persone over 65/70 che, spesso, sono ormai un “peso” (secondo una concezione sbagliata) per lo Stato.

Ma allora la domanda che bisogna porsi è se i nostri “nonni” siano veramente delle “zavorre” o, invece, se siano una fonte di crescita per il nostro Paese.

In primis, bisogna ricordare che il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è un processo inevitabile in quasi tutti i paesi industrializzati e, quindi, piuttosto che evitarlo bisogna pensare a un cambiamento culturale che porti a politiche mirate per governarlo, ponendosi come obiettivo quello di trasformalo come una risorsa.

Proprio riguardo all’invecchiamento, gli esperti dell’Istat hanno pubblicato uno studio che mostra le attuali condizioni dell’Italia e i livelli di invecchiamento attivo.

In Italia, al 1° di gennaio del 2019, si legge nella pubblicazione dell’Istituito Nazionale di Statistica, gli individui residenti nel Paese con 65 anni di età e oltre ammontano a 13,8 milioni, pari al 22,8 per cento del totale della popolazione, contro i 12 milioni (20,3%) del 2009 e, andando ancora più a ritroso, contro i 4,6 milioni nel 1960 (9,3%).

A provocare una crescita così rapida dell’invecchiamento della nostra popolazione vi sono vari fattori che possono essere divisi in forze endogene ed esogene.

Le prime sono rappresentate dall’aumento della sopravvivenza – scrivono gli esperti –, che induce l’aumento delle persone in età avanzata, e dalla diminuzione della fecondità, che a sua volta determina l’erosione delle classi di età giovanili, col risultato composito di generare un progressivo squilibrio strutturale nella popolazione. Tra le forze esogene si riconosce soprattutto l’azione esercitata dai movimenti migratori, in ingresso come in uscita“.

L’invecchiamento, come ormai evidenziato sin dai libri delle scuole primarie, comporta conseguenze collettive e individuali che arrivano a coinvolgere tutti gli aspetti della nostra vita.

Il primo aspetto, generalmente quello esaltato, è relativo al piano economico: infatti l’invecchiamento arriva a modificare il potenziale di crescita economica sino a spingere un Paese a rivedere i processi produttivi, tenendo in relazione il mutamento della richiesta, dei beni e l’alterazione del capitale umano.

Inoltre, gli esperti dell’Istat spiegano che bisogna anche tener contro della “necessità di dover sostenere un numero crescente di prestazioni previdenziali, assistenziali e sanitarie, l’invecchiamento della popolazione si porta appresso anche un importante fabbisogno di welfare, nonché l’esigenza, come è stato fatto in Italia, di introdurre ingenti riforme statali. Welfare che in un paese come l’Italia è per fortuna supportato dal sistema di rete familiare, sistema che fino a oggi ha permesso cure e assistenza a una vasta platea di individui anziani, in parte surrogando quelle che sono competenze delle amministrazioni centrali e territoriali dello Stato”.

Ma i nostri anziani, come sottolineano gli studiosi, non sono pesi, anzi posso diventare vere e proprie risorse attraverso l’invecchiamento attivo.

L’invecchiamento attivo e i dati in Italia

L’invecchiamento attivo è un concetto ormai ampiamente accettato, elaborato all’interno del programma di invecchiamento e vita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “L’invecchiamento attivo è il processo di ottimizzazione delle opportunità per la salute, la partecipazione e la sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita man mano che le persone invecchiano“.

L’OMS, inoltre, ha declinato quali sono i pilastri dell’invecchiamento attivo, ovvero: salute, partecipazione e sicurezza e, in un quadro politico generale, si raccomanda di implementare azioni mirate in tali aree.

In riferimento a “salute“, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato che quest’ultima deve essere intesa sia come fisica che mentale. Per quanto concerne la “partecipazione“, l’Onu ha spiegato che va intesa come una serie molteplice di attività legata ad affari sociali, economici, culturali e civili, oltre alla loro partecipazione alla forza lavoro.

Gli esperti dell’Istat, relativamente all’invecchiamento attivo, affermano che “i benefici sperimentati a livello individuale, peraltro, si ripercuotono come esternalità positive anche sulla società nel suo complesso. Si pensi, a esempio, alle ricadute derivanti
dal prolungamento dell’attività delle persone anziane esercitata in diversi campi (mercato del lavoro, volontariato, cura di minori), e alla riduzione della spesa per servizi socio-sanitari per le loro migliori condizioni di salute (Principi et al., 2017)“.

Il nostro Paese, relativamente all’invecchiamento attivo, dopo aver avuto un significativo progresso tra il 2008 e il 2012, passando dal 20° al 14° posto, nel 2018 è sceso nuovamente al 17° posto nel ranking europeo, diventando così – insieme a Croazia, Lussemburgo e Portogallo – uno dei pochi paesi che non ha registrato un progresso.

Relativamente alle condizioni nazionali, le regioni che maggiormente si distinguono tra le altre con il contributo relativo più
elevato per il dominio dell’occupazione sono Lazio, Toscana, Emilia-Romagna e Marche, mentre all’opposto, purtroppo, si trovano Puglia, Calabria e Sicilia.

Nonostante l’Isola sia tra gli ultimi per contributo nel settore dell’occupazione, per quanto riguarda le capacità di invecchiamento attivo secondo l’Indice di invecchiamento attivo si trova nella top 3 insieme a Sardegna e Valle D’Aosta. Subito dopo si collocano l’Emilia-Romagna, il Lazio e l’Abruzzo.

Altro punto a favore della Sicilia è relativo alla dimensione della vita indipendentesana e sicura, dove si piazza nei primi posti insieme a Campania, Calabria, Sardegna, mentre Emilia-Romagna, e le due province autonome di Bolzano e Trento registrano il contributo più basso all’indice complessivo di questo dominio.

Per quanto riguarda la Partecipazione sociale, il contributo di questo dominio all’indice complessivo è maggiore nelle province autonome di Trento e Bolzano e in Puglia.

Infine, non possiamo dimenticare che, proprio nel nostro Paese, a causa anche delle recessioni economiche e delle politiche di austerity, i nostro anziani sono diventati dei veri e propri caregiver.

“Oltre un terzo delle persone di 55 anni e più (34,7 per cento) – si legge nella pubblicazione – si è attivata nelle quattro settimane precedenti l’intervista per fornire aiuto gratuito a persone non coabitanti, si tratta di circa 7,3 milioni di persone. La quota più alta si registra tra i 55 e i 64 anni (44,1 per cento), in misura decisamente più consistente tra le donne di questa fascia di età (49,3 per cento) rispetto agli uomini (38,6 per cento). Le persone di 55 anni e più che assistono un familiare coabitante per problemi legati all’invecchiamento sono l’8,8 per cento, meno di 2 milioni di persone, con un picco che raggiunge l’11,1 per cento per le donne tra 65 e 74 anni. In media, i caregiver forniscono 2,1 aiuti. Il numero medio di aiuti diminuisce all’aumentare dell’età: i 55-64enni forniscono in media 2,3 aiuti, i 75enni e più 1,8″.

Immagine di repertorio