Disconnessione selettiva come autodifesa: in che modo le cattive notizie influiscono sulla salute mentale

Disconnessione selettiva come autodifesa: in che modo le cattive notizie influiscono sulla salute mentale

MONDO – Stop alle cattive notizie o alle informazioni che suscitano ansia e preoccupazione: è questo ciò che inconsciamente ognuno di noi chiede ormai da anni per tutelare la propria salute mentale, che tra pandemia, guerre e crisi a livello globale, viene costantemente messa a dura prova.

Ogni giorno il nostro cervello riceve un’incredibile quantità di informazioni che automaticamente, quasi senza farci caso, ha imparato a selezionare. Questo atteggiamento potrebbe essere definito una sorta di “istinto di sopravvivenza” che ognuno di noi attiva nel momento in cui una valanga di notizie, spesso spiacevoli o allarmistiche, invade la nostra mente.

Cos’è la disconnessione selettiva

È per questo che si parla di “disconnessione selettiva“, cioè di una vera e propria selezione, pensata con l’obiettivo di distinguere le notizie attendibili dalle fake news o, ancora, dalle informazioni diffuse con il solo intento di “pilotarci” verso una determinata direzione, come spesso accade durante il periodo di campagna elettorale che precede le elezioni politiche.

Stare alla larga dalle cattive notizie potrebbe essere considerata quasi una forma di “codardia” eppure per il cervello umano è solo un meccanismo di autodifesa, che scatta a causa del sovrabbondante numero di informazioni che quotidianamente entrano nelle nostre case attraverso i telegiornali e gli articoli online.

Migranti che perdono la vita proprio mentre lottano per trovarne una migliore, intere popolazioni devastate dall’effetto della guerra, ghiacciai che si sciolgono e un intero Pianeta che rischia di arrivare a un punto senza ritorno a causa del riscaldamento globale: è questo il mondo di cui coloro che lavorano nell’ambito dell’informazione hanno il diritto e il dovere di parlare, ma anche quello da cui a volte è necessario estraniarsi per cercare – almeno mentalmente – un universo parallelo nel quale la realtà con cui fare i conti sia meno dolorosa di quella a cui siamo abituati.

Sorge spontaneo quindi tentare di immaginare, ispirandoci alle parole di John Lennon in “Imagine”, un universo in cui i profughi che partono dai territori di guerra arrivano – tutti vivi – a destinazione, una realtà in cui il sorriso di un bambino prevale sull’orrore del conflitto e un mondo in cui ci si prende cura della Terra che da decenni chiede aiuto, ma che ancora non viene sufficientemente ascoltata.

Questa “intolleranza” nei confronti delle notizie che da anni riempiono i nostri smartphone, e di conseguenza anche le nostri menti, potrebbe essere dovuta a vari fattori, a partire dall’enorme afflusso di informazioni che non sembrano darci tregua, per poi arrivare agli effetti collaterali della pandemia che probabilmente ci ha resi più vulnerabili e sensibili al tema del dolore.

Si tratta di una “disconnessione” che coinvolge gran parte del mondo: è inutile nascondere che ormai si preferisce essere informati sui progressi scientifici, economici, sanitari, sugli avanzamenti tecnologici, sulle vittorie in ambito sportivo e sulle battaglie che siamo ancora in tempo per vincere.

Fonte foto Pixabay