Cresce il numero dei portali in white label nel betting sportivo: sfide e attenzioni necessarie

Cresce il numero dei portali in white label nel betting sportivo: sfide e attenzioni necessarie

Come nel resto del mondo, anche in Italia cresce l’interesse nei confronti dei portali in white label nel betting sportivo. E, con l’interesse, cresce anche l’attenzione da parte del legislatore che, di fatti, sta cogliendo l’opportunità di rimetter mano al quadro legale del gambling a distanza in Italia vietando – forse in modo assoluto – il fenomeno white label.

Ma che cosa sono i portali in white label? E perché il legislatore potrebbe applicare una corposa stretta?

Cosa sono i portali in white label

In sintesi, i portali in white label nel betting sportivo sono siti web che vengono predisposti da un provider di software per essere successivamente rivenduti a un operatore di scommesse sportive, il quale può poi personalizzare lo stesso sito web con i propri elementi di brand identity. La piattaforma sottostante rimane dunque sempre la stessa, mentre a cambiare è solo la skin, la parte che risulta essere visibile agli occhi dell’utente.

Proprio per queste caratteristiche i portali in white label sono rapidamente divenuti una soluzione popolare per tutti quegli operatori di scommesse che vogliono entrare nel mercato del betting sportivo senza però andare incontro al più dispendioso e complesso investimento nello sviluppo di una propria piattaforma.

Non solo. I portali in white label hanno acquisito un discreto riscontro anche nei confronti di quegli operatori di scommesse che sono già presenti sul mercato, come quelli riportati sul sito Sportaza, ma desiderano espandere e diversificare la propria offerta aggiungendo a basso costo nuove funzionalità.

I portali in white label saranno vietati?

Tutto ciò premesso, ci si può domandare se effettivamente i portali in white label potrebbero o meno essere vietati alla luce della riforma del gambling sulle scrivanie del legislatore.

Il Parlamento sta infatti attualmente lavorando su una normativa che potrebbe rivoluzionare il mercato italiano del gioco a distanza, andando a vietare i white label o le skin dei siti di gambling. Ma in che termini?

Il disegno di legge prevede l’obbligo per l’operatore con concessione italiana di attivazione, da parte del titolare, previa autorizzazione dell’ADM e in coerenza con le specifiche regole tecniche stabilite dalla stessa ADM, di un sito internet con un dominio nazionale di primo livello gestito direttamente dal concessionario, connesso alla sua concessione e di proprietà del titolo della concessione. Viene esclusa la possibilità, per il titolare della concessione, di rendere il sito segnalato disponibile a terzi con qualsiasi soluzione tecnica o di interfaccia. Una lettura restrittiva della norma potrebbe suggerire che, in realtà, il destino per i siti white label potrebbe essere segnato.

In realtà, però, la norma non è così chiara e, soprattutto, non chiude le porte a una tempestiva precisazione. In particolare, da più parti è già arrivato l’invito a chiarire se il sito internet debba essere unico o rappresentare un requisito minimo. In ogni caso, il divieto di renderlo disponibile a terzi non sembra applicarsi nel caso in cui il titolare della concessione sia anche il gestore del sito.

Se non ci saranno chiarimenti da parte del legislatore, quello che potrebbe verificarsi per tutelare la posizione dei siti white label è, probabilmente, l’assegnazione del nome di dominio al titolare della concessione, con diritto di riacquisto alla fine del periodo dell’accordo contrattuale, e con un’autonomia di gestione da concedere al titolare della concessione. Così facendo, si darebbe al soggetto che intende stabilire un sito in white label nel betting sportivo una quota di ricavi.

Come ulteriore alternativa, ma probabilmente più complessa (considerato che il costo per la concessione sui giochi a distanza è di 7 milioni di euro), gli operatori potrebbero scegliere l’acquisizione di più licenze.

Insomma, il mercato è ancora in attesa di comprendere in che modo il legislatore intenda combattere la pratica di disporre di un portafoglio di skin sotto la medesima concessione, e quale potrebbe essere la sorte di quelle proposte di servizio già in vigore.