CATANIA – Dopo il fatto di sangue iniziano i processi. Da quelli sommari sui social agli altri (spesso lunghi e interminabili) nelle aule dei tribunali. Il femminicidio di Vanessa Zappalà, uccisa a 26 anni dal suo ex fidanzato – Antonino “Tony” Sciuto – poi suicida (trovato impiccato a Trecastagni, nel Catanese), è l’ennesimo caso “che si poteva evitare“, o forse no.
Le denunce per stalking, la scarcerazione e il “semplice” divieto di avvicinamento alla ragazza. Misure (aspramente contestate) che non sono bastate a placare la ferocia e la rabbia del 38enne, uscito di casa con una pistola e la volontà di sparare a quella ragazza che diceva di amare. Neanche le foto “controverse” (per non dire terribilmente premonitrici) pubblicate da Sciuto sui social sono bastate per fare cambiare idea ai giudici.
Tutte situazioni che hanno causato una più che giustificata ondata di polemiche e indignazione contro una giustizia giudicata assente, colpevole di “avere lasciato sola” una ragazza in cerca di aiuto. Insomma, questa la sentenza del processo (legittimo, ma comunque sommario) fatto sui social.
Polemiche che il presidente dell’ufficio del Gip di Catania, Nunzio Sarpietro, ha provato a smorzare all’Ansa, difendendo l’operato del collega sulla decisione di scarcerare Sciuto. “Il collega ha agito secondo legge“, ha detto Sarpietro.
A difesa della decisione del collega di scarcerare l’assassino, il presidente dell’ufficio del Gip di Catania ha parlato di alcuni elementi contrastanti dei quali ha tenuto conto, come un primo e presunto riavvicinamento tra i due. Inoltre, ha dichiarato come neanche la misura dei domiciliari avrebbe potuto fermare il 38enne, dato che avrebbe avuto tutto il tempo di evadere e commettere comunque il delitto.
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