Operazione Attila, la denuncia e l’omicidio di Adnan Siddique per liberare Caltanissetta dal caporalato e dalla paura

Operazione Attila, la denuncia e l’omicidio di Adnan Siddique per liberare Caltanissetta dal caporalato e dalla paura

CALTANISSETTA – Una vasta operazione di carabinieri e personale della Squadra Mobile di Caltanissetta ha portato, nelle scorse ore, all’arresto di 12 soggetti (11 con custodia cautelare in carcere e 1 ai domiciliari) per i reati di associazione per delinquere finalizzata al caporalato, alle estorsioni, al sequestro di persona, alle rapine, alle lesioni aggravate, alle minacce, alla violazione di domicilio, alla violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.

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L’origine delle indagini

L’operazione ha tratto origine dalle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e dall’Arma dei carabinieri nei confronti di un pericoloso gruppo di soggetti di nazionalità pakistana, da tempo residenti nel centro abitato di Caltanissetta, dedito alla commissione di una serie di delitti contro la persona ed il patrimonio, in larga parte ai danni di loro connazionali, che imperversava dall’anno scorso in città e nei centri limitrofi.

Si tratta di un gruppo ristretto che, agendo con metodo paramafioso, ha assoggettato la comunità di appartenenza, molto ampia a Caltanissetta e composta da persone oneste, sottoponendola ad un regime di vessazione e terrore e sfruttandola professionalmente al fine di assicurare all’associazione continuità nel tempo. Numerosissimi gli interventi delle Volanti a favore dei cittadini pakistani che richiedevano, in città, l’aiuto delle Forze dell’Ordine, così come numerose sono state le denunce presentate da altri pakistani nelle Stazioni dei carabinieri di alcuni paesi presi di mira, come Milena e Sommatino.

Proprio l’analisi della molteplicità di episodi di violenza riconducibili agli odierni arrestati ha permesso di acclarare l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere, finalizzata ad imporre la propria egemonia sul territorio, acquisita dal protratto periodo di operatività e rafforzata dal costante ricorso a condotte minatorie e violente di elevatissimo allarme sociale. Sono state individuate le auto e le utenze in uso agli indagati e tanto i servizi di o.c.p. quanto lo sviluppo dei tabulati ha consentito di riscontrare gli stretti legami, quasi giornalieri, tra tutti gli odierni arrestati.

La struttura del gruppo, il “capo”

Il gruppo, molto coeso e capeggiato dall’indiscusso leader Muhammad Shoaib, ha anche condizionato il settore agricolo dell’entroterra siciliano; l’indagine infatti ha consentito di rilevare che Muhammad Shoaib, Bilal Ahmed, Ali Imran, Mohsin Ali e Giada Giarratana reclutavano manodopera pakistana col metodo del caporalato. Proprio questi caporali pakistani destinavano i loro connazionali al lavoro in titolari di aziende agricole, in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, accordandosi sull’entità del compenso, che si aggirava sui 25/30 euro al giorno, direttamente con i datori di lavoro e trattenendo per sé una parte o persino la totalità del corrispettivo, già palesemente basso. Le timide rimostranze avanzate dai lavoratori per ottenere il compenso loro spettante venivano immediatamente represse dai sodali attraverso efferate spedizioni punitive.

In questo desolante panorama, si inseriscono anche i titolari delle imprese dove i lavoratori pakistani venivano condotti a lavorare, poiché, dal canto loro, trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perché ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio in relazione alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori.

L’omicidio di Adnan Siddique

Ed è proprio in tale contesto criminoso che è maturato l’omicidio del pakistano Adnan Siddique avvenuto la sera del 3 giugno scorso, che si era ribellato, denunciando i suoi caporali; per l’efferato
delitto vennero arrestati ben sei dei soggetti colpiti dall’odierna misura cautelare, ossia
Muhammad Shoaib, Muhammad Sharjeel Awan, Shujaat Ali, Bilal Ahmed, Ali Imran,
Muhammad Mehdi e Nawaz Muhammad.

Uno dei tanti episodi di violenza

Già prima dell’omicidio la banda aveva commesso numerosi episodi di violenza in territorio nisseno, con un escalation di violenza davvero impressionante. Un cittadino nigeriano veniva aggredito e malmenato a colpi di bastone e spranghe di ferro per il sol fatto di aver chiesto il corrispettivo dell’attività di bracciante agricolo svolto per loro conto, riportando ferite guaribili in 20 giorni. Ancora, Muhammad Shoaib tentava di estorcere ad un pakistano la somma di 300 euro, quale ingiusto profitto dell’intermediazione illecita finalizzata al caporalato. Non contento, l’indomani, Muhammad Shoaib, unitamente a Bilal Ahmed (inteso Muhammad Bilal), Nawaz Muhammad, Shujaat Ali, Muhammad Mehdi sequestravano l’estorto, lo prendevano per le caviglie e le spalle, lo posizionavano sui sedili posteriori dell’autovettura di proprietà di Muhammad Shoaib, e lo conducevano all’interno dell’abitazione di Ali Imran (inteso Muhammad Imran Cheema) e di Giada Giarratana; lo costringevano a terra in una stanza semivuota, lo accerchiavano, puntandogli un coltello alla gola, e lo trattenevano per circa tre ore, intimandogli di chiamare il padre in Pakistan allo scopo di farsi mandare 5mila euro per ottenere la sua liberazione.

Alcuni dei tanti episodi di violenza

Le indagini hanno fatto luce su molti altri episodi di inaudita violenza posti in essere da questi pericolosi criminali e, a titolo di esempio, se ne ricordano alcuni: una volta, Muhammad Shoaib, in compagnia di altri, aggrediva una donna nigeriana mentre stringeva tra le braccia suo figlio di appena un anno, rapinandola di duecento euro; seguiva una violenta aggressione con calci e pugni al marito della donna.

In altra circostanza, Muhammad Shoaib, Muhammad Sharjeel Awan ed altri 3 non identificati aggredivano e minacciavano con un coltello un cittadino mentre si trovava a passeggiare lungo Corso Vittorio Emanuele insieme ad un suo amico cingalese, che riusciva a bloccare il braccio di Shoaib mentre quest’ultimo stava per colpire la vittima.

Ancora, Muhammad Shoaib, Muhammad Sharjeel Awan, Shehzad Khuram, dopo aver invitato un giovane ghanese ad entrare all’interno dell’autovettura a loro in uso e averlo condotto in una zona di periferia vicina alla zona industriale, gli puntavano un coltello alla gola e lo costringevano a commettere un furto in una casa di campagna e poi gli sottraevano anche la somma di 600 euro che il ghanese aveva con sé.

Qualche giorno dopo, il 10 dicembre del 2019, Muhammad Shoaib, Muhammad Sharjeel Awan, Shehzad Khuram, Ahmad Shahbaz, Arshad Muhammad ed altri non identificati si recavano sotto l’abitazione del giovane ghanese armati di bottiglie di vetro, di una pistola e di alcuni coltelli, inveivano contro di lui e lo minacciavano che “gliel’avrebbero fatta pagare”: per sua fortuna, la vittima riusciva a darsi alla fuga e a rifugiarsi presso una rivendita ambulante.

Nel dicembre del 2019, Muhammad Shoaib, Arshad Muhammad, Muhammad Sharjeel Awan, Bilal Ahmed (inteso Muhammad Bilal), armati di pistola e coltelli, facevano irruzione all’interno della comunità denominata “I Girasoli Onlus” di Milena (CL) e malmenavano due minori ospiti della struttura per il sol fatto di aver avuto un banale diverbio con un altro minorenne che aveva invocato l’intervento di Shoaib e della sua banda.