“Donne che amano troppo” di Robin Norwood

“Donne che amano troppo” di Robin Norwood

Lui cambierà. Lei cambierà. Sono le frasi precursori di fragili vissuti in fin di vita. A un “prima” cattivo consigliere del “poi” si arriva sempre in ritardo, da qualche parte, magari dietro uno specchietto per allodole ammaestrate, c’è sempre un Lucignolo che non smette di offrire consulti non richiesti. E così il piccolo pozzo diventa un lunghissimo tunnel scavato a mani nude, terrorizzate di restare sole. “Donne che amano troppo” è il bestseller di Robin Norwood, una psicoterapeuta americana specializzata in terapia della famiglia e delle tossicodipendenze, dei problemi d’alcolismo maturati all’interno di famiglie claudicanti nella loro legge ingrata alle verità. Nella biografia della Norwood la sua esperienza di vita ha educato l’anima a uno straordinario sentire che ha riempito fogli su fogli senza la pretesa di medaglia al petto.

Sotto il primo strato di umano volere si nascondono armi bianche usate contro se stessi, il più pericoloso dei nostri nemici. Non basta puntare il dito in direzione dell’amaro destino piombato addosso ai progetti cristallini in piena esecuzione. Forse abbiamo lasciato aperte le porte che meritavano il sigillo, oppure abbiamo negato il permesso allo sguardo di un “altrove” in nostra attesa. La Norwood si rivolge a un pubblico femminile schiavo di una dipendenza affettiva riversa nella patologia difficile da curare.

Una volta entrate nel limbo dei sentimenti ogni tentativo di liberarsi dalle catene dell’amore risulta vano o peggio, si conteranno cicatrici sulle macerie della vita. Il futuro non è ancora nelle nostre mani, ma possiamo (e dobbiamo) adottare un comportamento combattivo degli eccessi. Le lacrime fanno luce al primo sintomo della malattia abbandonata alle premurose cure di mani diaboliche. L’amore malato entra nelle case in cui la fragilità ha messo radici alimentate da scopi abietti che fanno da apripista a ripide discese infernali.

Infine, la religione spiana la strada della santità ai puri di cuore immolati sull’altare delle debolezze. Di questa identità caratteriale la famiglia di origine ne è testimone consapevole laddove la dipendenza affettiva ha trovato braccia proseliti di amori malati. “La società in cui viviamo confonde continuamente le due specie di amore. Ci si promette in mille modi che una relazione appassionata ci darà appagamento e gioia. Infatti, è sottointeso che, se la passione è abbastanza intensa, ne nascerà un legame duraturo. Questa premessa è falsa.

Anche la paura può portare a scegliere di legarsi all’uomo sbagliato, senza riuscire a distaccarsene, paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, abbandonate o annichilite”. Come uscirne illesi da questo pantano d’amore? La verginità dello specchio viene incontro al disagio psicologico accondiscendente con i ghirigori della mente. Spesso nelle relazioni la sterile presenza basta a se stessa che, incapace di tradursi in una presa di coscienza fattiva, trasforma una donna nella vittima sacrificale.

Raramente la martire di turno si rende conto della manipolazione machiavellica in cui è caduta, e se l’àncora di una voce amica solleva il velo della menzogna, lei si oppone alla fuga pur di non restare sola. Sulla zattera della felicità amare troppo è sempre stato sinonimo di un leso amor proprio. “Amare troppo è calpestare, annullare sé stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo “sbagliato” per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci”. Reclama l’urgenza l’adozione di punti e non virgole, per non sottovalutare la concentrazione su un “oltre” di distanza temporale anzichè girare intorno all’orto davanti casa. Senza una mappa in tasca e una clessidra in mano, perire nella trappola mortale è probabile quanto lo è un passo falso nella montagna.

I “basta” non detti al momento giusto sfociano nell’ossessione ormai estranea ai sentimenti nati puri, giacchè tutte le forme di dipendenza sono calamita del baratro da cui dipende la direzione della nostra vita. Amare a piccole dosi ci protegge da uno tsunami che ad ogni frase mal tollerata rigenera la maschera violenta dell’uomo. La Norwood punta i fari sui “se” mal riposti perché una relazione cliente assidua della sofferenza non può che dare alloggio allo sperpero del tempo.

Amare se stessi prima che gli altri” è tutt’altro che una formula dai tratti egoistici, bensì una devozione dell’equilibrio interiore istruito al mare calmo della vita. Le storie illustrate da Robin Norwood sono connesse tra loro da un fil rouge che denuncia il sintomo prima che questo diventi severa patologia. Manca la poltrona e il riverbero di una luce soffusa, è indubbio però che questo saggio da milioni di copie in tutto il mondo equivale a un ciclo di sedute di psicoterapia.

 

sara