Lode… al maestro Battiato

Lode… al maestro Battiato

Con uno sguardo sicuro di chi è sacerdote di se stesso, “raro sopravvissuto di una stirpe incantata”, seduto su un tappeto persiano, quasi ad evocare mondi lontanissimi, nascosto dietro lenti folte di mistero. Lo immagino cosi, il Maestro Franco Battiato che il 23 Marzo 2017 ha compiuto i suoi 72 anni. Classe 1945, nasce a Giarre, in provincia di Catania, dove abbandonati gli studi fugge da quella Sicilia per trasferirsi a Milano dove li, mette a frutto la sua poca conoscenza della chitarra in un cabaret, il “CLUB 64”. Da lì parte la sua evoluzione artistica e non solo.

Si è sempre confrontato con molteplici stili musicali combinandoli tra di loro in un approccio eclettico e originale. Passa dalla musica sperimentale degli anni ‘70, all’avanguardia colta, la musica etnica, il rock progressivo e la musica leggera.

Si è sempre avvalso di collaboratori d’eccezione. Dal violinista Giusto Pio, al poeta filosofo Manlio Sgalambro, co-autore di molti suoi brani, al musicista Juri Camisasca. I testi, oltre alla musica, riflettono i suoi interessi orientati verso l’esoterismo, la teoretica filosofica, la mistica sufi, l’influenza di Gurdjieff e la meditazione orientale.

È la volta dell’album Fetus del 1971 (recante in copertina l’immagine di un feto allora censurata), dove i suoni elettronici ti rapiscono portandoti in un’altra dimensione dalla quale non vorresti mai più tornare. Ma lui torna. Eccome se torna. Franco è la Sicilia. Si rifugia a Milo sulle pendici dell’ Etna chiudendo il suo cerchio sulle note di “Stranizza d’amuri”.

Con l’album “L‘Era del cinghiale bianco” scopre Guènon a la crisi della modernità. Ma lui sa che bisogna avere sempre ”un centro di gravità permanente” album record d’incassi, dove il testo è basato sulle teorie psicofisiche del filosofo Gurdjieff, inerenti alle difficoltà dell’essere umano a trovare il suo centro interiore indispensabili al controllo delle pulsioni emotive e irrazionali.

Battiato è anche l’esperienza più intima che si possa avere. L’ombra della luce – che canterà in arabo a Baghdad – non è solo il senso del bardo tibetano ma una dolce preghiera che dal Sè punta all’ultraterreno. Spiritualità e risposte trovate sono le chiavi di un inno alla Bellezza. E di un ode all’inviolato. ”Come non sprecare il tempo che rimane?” Battiato è anti-moderno. I suoi sound piacciono anche a Mister Tamburino. ”Che per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare, quei programmi demenziali con tribune elettorali: l’Italia dantesca e inghiottita dai vizi. E come è misera la vita negli abusi di potere. Cosa ci resta? Sventolare una bandiera bianca?”.

Battiato è anche la mondana ode all’eros più puro. Col brano “La cura” si percorrono le vie che portano all’essenza, alla conoscenza delle leggi del mondo sino a superare lo spazio e la luce per non invecchiare. Battiato non è politico. ”Povera patria” è un inno alla speranza: ”Dobbiamo credere solo nella primavera, che però tarda ad arrivare”. O ancora “l’ombra della luce”: è tempo di lasciare questo ciclo di vite, e non mi abbandonare mai, perchè le gioie del più profondo affetto o dei più lievi aneliti del cuore, sono solo l’ombra della luce.

Battiato non è tutto ciò, è molto di più. È un mondo che parla pulsante e diretto. In un linguaggio universale. È il cantore che ha l’arduo compito di tramandarlo e non può che essere un’aquila di quelle che non volano a stormi. Di quelle alla perenne ricerca della via. E allora “grazie” Maestro” per tutto ciò che hai fatto e continui a fare, tu che hai saputo di certo dare “Conforto alla vita”… ah quanto fumo si levò che non fu fiamma, sii forte e sereno anche nei giorni dell’avverso fato… con la tua musica eclettica e la tua voce quasi ipnotica. I miei più sinceri auguri di buon compleanno.