Se è vero che quando si parla di discriminazione e pregiudizi viene quasi automatico fare riferimento al razzismo e al sessismo, non è meno grave o diffuso l’ageismo, una forma di discriminazione basata sull’età. Fermare il tempo. Bloccare per qualche secondo le lancette dell’orologio per far durare in eterno un momento perfetto. Restare ancora un attimo tra le braccia di chi domani potrebbe non esserci. Non dover fare i conti con le cose che cambiano, i giorni che passano, i visi che invecchiano, le persone che se ne vanno. Evitare che lo scorrere del tempo porti via sorrisi, spensieratezza, affetti e certezze. La bellezza e l’energia di un tempo ormai lontano, una ragione per aprire gli occhi la mattina, la forza necessaria per proseguire il proprio cammino.
Ciò che a volte si dimentica è che la vecchiaia è pur sempre una fase della vita, non della morte. Un periodo che pur anticipando l’epilogo della propria esistenza, non ne costituisce ancora il finale, bensì riserva innumerevoli capitoli da scrivere. Favole da tramandare ai nipoti, insegnamenti da trasmettere ai più giovani, esperienze da richiamare alla mente per tornare indietro nel tempo, quando ancora si era convinti che la gioventù non ci avrebbe mai voltato le spalle.
Eppure c’è chi, anticipando i tempi, decide di deporre la penna sulla scrivania prima che sia giunto il momento di farlo. Un errore che spesso purtroppo viene indotto anche dalla società, la prima a guardare con occhi giudicanti i volti invecchiati, ignorando che dietro le numerose rughe si celano altrettanti aneddoti ed esperienze.
Cos’è l’ageismo
Per fare chiarezza sulle cause, gli effetti e le possibili soluzioni relative al fenomeno dell’ageismo, molte volte messo in secondo piano, è intervenuta ai microfoni di NewSicilia la psicologa Valentina La Rosa.
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Da cosa può dipendere la discriminazione basata sull’età o ageismo?
“La discriminazione basata sull’età, conosciuta anche come ageismo, nasce da idee sbagliate e stereotipi che associano l’età avanzata a debolezza, inutilità o difficoltà di adattamento. Questi pregiudizi possono influenzare non solo le relazioni personali, ma anche le decisioni politiche e sociali, portando a una visione ingiusta e limitata della vecchiaia.
Spesso la società tende a concentrarsi sugli aspetti negativi dell’invecchiamento, ignorando che molte persone anziane vivono questa fase come un’opportunità per riflettere sulla loro vita, condividere esperienze e contribuire alla comunità. Per esempio, chi invecchia con successo riesce a concentrarsi su ciò che conta davvero, affrontando le difficoltà con adattamento e resilienza.
Per superare la discriminazione, è importante cambiare il modo in cui parliamo e pensiamo agli anziani: non come un peso, ma come una risorsa. Promuovere il dialogo tra generazioni e valorizzare l’esperienza delle persone anziane aiuta a creare una società più inclusiva, dove ogni età è apprezzata“.
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Perché la figura dell’anziano è cambiata così tanto, diventando in alcuni contesti quasi una presenza “di troppo” piuttosto che una risorsa?
“Il cambiamento nella percezione degli anziani è legato senza dubbio alla modernità. In passato, la trasmissione orale del sapere rendeva gli anziani fondamentali per la comunità. Tuttavia, con l’avvento della tecnologia, il sapere è diventato accessibile a tutti e la società orientata alla produttività ha privilegiato l’efficienza economica rispetto alla saggezza dell’esperienza.
Nonostante ciò, numerose ricerche come quella di Reichstadt e colleghi mostrano che molti anziani riescono a vivere questa fase come un momento di crescita e realizzazione personale. La generatività, un concetto chiave nelle teorie psicologiche sullo sviluppo individuale, è centrale: è il desiderio di lasciare un’eredità alle nuove generazioni, un compito che può essere svolto attraverso relazioni sociali di qualità, impegno attivo e trasmissione di conoscenze.
Oggi, il concetto di ‘invecchiamento di successo‘ sfida la visione negativa della vecchiaia. Secondo i ricercatori Rowe e Kahn, esso include il mantenimento della salute, del funzionamento cognitivo e dell’attività sociale, ma studi recenti hanno evidenziato che il benessere soggettivo può essere alto anche in presenza di malattie croniche, se gli individui riescono a trovare significato e adattamento nelle loro vite.
Riconsiderare la figura dell’anziano come risorsa richiede dunque politiche inclusive e una narrazione mediatica che valorizzi la capacità degli anziani di essere ancora attivi e coinvolti nella società“.
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Lavorare e produrre non dovrebbe essere l’unico modo per essere utili nella società odierna. Quanto è pericolosa questa convinzione e come superarla?
“Ridurre il valore delle persone alla loro capacità di lavorare è una visione miope che può portare a fenomeni come alienazione sociale e perdita di senso, specialmente in età avanzata. La transizione al pensionamento, spesso vissuta come una sfida, può essere però anche un’opportunità di crescita. Come mostrano le ricerche di Crosnoe ed Elder, gli stili di invecchiamento variano notevolmente: per alcuni, è un periodo di declino, ma per molti altri rappresenta un momento di rinnovamento e nuovi inizi.
Il senso di generatività, di cui abbiamo parlato prima, consente agli individui di trovare scopo e significato anche oltre il lavoro produttivo. Inoltre, l’approccio di ‘ottimizzazione selettiva con compensazione‘ aiuta gli anziani a focalizzarsi sulle risorse ancora disponibili, adattando obiettivi e priorità. Esempi positivi, come quello di Giuseppe Paternò, laureatosi a 96 anni, dimostrano che l’apprendimento e l’orientamento al futuro non hanno limiti di età.
Per superare la convinzione che solo il lavoro renda utili, è necessario promuovere il concetto di ‘invecchiamento di successo’, che non si limita alla salute fisica, ma include benessere soggettivo, impegno sociale e crescita personale. Iniziative come il volontariato, l’apprendimento continuo e l’impegno comunitario devono essere incentivati per valorizzare la diversità dei contributi che una persona può offrire in ogni fase della sua vita“.