I nuovi paradigmi della medicina

Facendo seguito a quanto già ripetuto nei precedenti articoli, mi riferisco al neologismo della cd appropriatezza, desidero in questo numero accennare a termini usati oggi in medicina e che per molti possono risultare poco conosciuti, non mi riferisco ai colleghi medici. Verso il finire del secolo scorso era entrato nel vocabolario della medicina un termine, chiamato con l’acronimo di ebm, che significava Medicina basata sulle evidenze scientifiche. Con questa pratica si cercava di studiare scientificamente quanto riportato dalla letteratura scientifica, rivista e analizzata secondo criteri prettamente scientifici, bocciando tutti quei lavori che non rispondevano ai criteri determinati dalla scienza medica. Attraverso questo metodo si calcolavano quegli algoritmi per cui le malattie per essere conosciute e riconosciute dovevano rispondere ai suddetti criteri di evidenza scientifica.

Questo metodo, senza dubbi, era un passaggio obbligato per procedere ad eliminare false credenze, ciarlatanerie e il pressappochismo e pertanto a condurre ad una obiettività, che è un elemento necessario in sanità, utile a combattere la cosiddetta inappropriatezza. Un fatto importante, però, è che se da un lato si tentava di conoscere scientificamente le malattie, dall’altro andava emergendo che non sempre il modello della malattia era uguale per tutti i pazienti e quindi si doveva tenere conto di questa variabile importante, anche perché sempre più entrava nella cultura il motto “il paziente al centro”.

Finalmente nel 2000 si fornisce una più corretta definizione di Medicina Basata sulle Evidenze come “integrazione delle migliori prove della ricerca scientifica” con l’”esperienza clinica ed i valori del paziente”.

Nel 2001 sulla rivista scientifica americana “JAMA”, il dr. Branch definisce “umanesimo in medicina” tutti gli atteggiamenti e le azioni del medico che dimostrano “interesse e rispetto per il suo paziente, e che si rivolgono alle sue preoccupazioni e ai suoi valori”. Questi generalmente si riferiscono agli aspetti psicologico, sociale e spirituale del paziente. Si comprende così che il nuovo medico non può essere solo colui che conosce solo le malattie, ma deve avere un bagaglio culturale tale da approcciarsi anche con altre conoscenze alla persona che deve curare.

Sempre su quest’onda Rita Charon, sulla stessa rivista Jama e nello stesso anno, riprende una antica via, conosciuta dai primi medici della storia, che è l’ascolto della narrazione del paziente della propria storia sia clinica ed umana e così nasce la Medicina Narrativa, o è meglio chiamarla “Medicina Basata sulla Narrazione” (NBM). In pratica la Charon sottolineava che la pratica efficace della medicina esige una competenza narrativa, cioè la capacità di riconoscere, integrare, interpretare ed agire sulla storia e le lamentele degli altri. Una medicina praticata con una competenza narrativa, chiamata medicina narrativa, viene proposta come modello per una pratica medica umana ed efficace.

Tutto questo bel discorso, pieno di termini altisonanti quali medicina basata sulle evidenze, medicina umanistica, medicina narrativa e tante altre sembrano parole vuote dinanzi ai provvedimenti governativi che riducendo gli investimenti economici in sanità devono solo risparmiare (non investire). Sarebbe bene che i tecnocrati della burocrazia conoscessero meglio i percorsi nuovi su menzionati, perché con questi approcci si risparmia denaro e tempo. Ci sono degli studi europei e americani che indicano che per ogni euro così impiegato si risparmiano almeno 3 euro e si migliora l’assistenza alle persone. Peccato che chi decide è affetto da sordità e pertanto non vuole sentire!!