Inseminazione intrauterina

L’inseminazione intrauterina è la più semplice delle tecniche di procreazione assistita e per molte coppie è la prima proposta, dopo gli accertamenti diagnostici, per risolvere un problema d’infertilità. Non si tratta di una tecnica nuova anzi la storia dell’inseminazione artificiale è molto antica.

Le linee guida delle più importanti società scientifiche danno le seguenti indicazioni: • Modesta alterazione dei parametri del liquido seminale • Sterilità inspiegata • Fattore cervicale.

Esistono altre indicazioni più rare come gravi alterazioni anatomiche che impediscono l’eiaculazione in vagina (ipospadia), utilizzo di liquido seminale crioconservato per vari motivi (se i parametri allo scongelamento rimangono idonei per questa tecnica).

Prima di intraprendere questo percorso va verificata la pervietà tubarica e l’assenza d’infezioni nel tratto genitale maschile e femminile. L’inseminazione artificiale è la tecnica più semplice di riproduzione assistita; l’aiuto medico in questo caso è limitato all’identificazione del periodo ovulatorio e all’inserimento in utero del liquido seminale opportunamente trattato. Generalmente si procede con un’induzione dell’ovulazione il cui obiettivo è quello di portare a maturazione 2-3 follicoli per aumentare le possibilità che almeno uno di loro sia fecondato. A questo scopo si utilizzano le gonadotropine per via iniettiva, ormoni che vanno a stimolare direttamente il reclutamento dei follicoli ovarici. Un altro farmaco utilizzato per l’induzione dell’ovulazione è il Citrato di Clomifene che si assume per bocca e che stimola l’ovaio indirettamente, facendo aumentare le gonadotropine endogene. Tramite l’ecografia si valuta qual è il momento più opportuno per somministrare l’HCG (ormone che determina lo scoppio dei follicoli) e, dopo circa 36-40 ore, si può procedere all’inseminazione.

Il giorno dell’inseminazione, il liquido seminale subisce un trattamento detto capacitazione che dura 60-90 minuti e che serve a selezionare gli spermatozoi più mobili. L’inseminazione vera e propria si esegue con una sottile cannula che, attraverso il collo dell’utero, deposita nella cavità uterina una modesta quantità di liquido seminale (0,3–0,5 ml). Nei casi in cui più di tre follicoli raggiungono la maturazione, esiste la possibilità di gravidanza multipla; questo rischio, secondo dati europei, è calcolabile tra il 10 e il 12% e dipende dal numero di follicoli reclutati e dall’età della paziente. In queste situazioni il ciclo può essere sospeso, così come la stimolazione può venire interrotta se c’è il sospetto che si verifichi la sindrome da iperstimolazione ovarica; per tale motivo, la terapia ormonale deve essere sempre attentamente seguita da uno specialista esperto ed è assolutamente sconsigliabile assumere induttori dell’ovulazione senza controllo ecografico e, se necessario, ormonale.

Va sottolineato ancora una volta come l’età della donna sia un fattore determinante per il successo delle tecniche di riproduzione assistita, infatti, dopo i 40 anni, le possibilità scendono al di sotto del 5% sino ad annullarsi completamente dopo i 44 anni.

La letteratura scientifica ha dimostrato che l’88% delle gravidanze ottenute con IUI avvengono nei primi tre mesi di trattamento e il 95,5 % nei primi sei mesi; non è quindi utile proseguire le inseminazioni oltre tale periodo.

La vita quotidiana di una donna può essere negativamente condizionata dalla presenza di perdite ematiche vaginali che si verificano al di fuori del periodo mestruale. La normale mestruazione si verifica in seguito alla stimolazione degli ormoni ovarici (estrogeno e progesterone) sull’endometrio, ossia sul rivestimento mucoso interno dell’utero. Vi è una prima fase estrogenica di circa 14 giorni ed una successiva fase progestinica di ulteriori 14 giorni in seguito alle quali, ogni 28 giorni, si verifica la mestruazione. Qualsiasi perdita di sangue che si verifica al di fuori del normale ciclo deve essere valutata. Si può trattare di una lieve perdita (spotting) o di sanguinamenti più importanti che a lungo termine possono determinare nella paziente una condizione di anemia. Le cause possono essere diverse e ne analizzeremo le più importanti.

I contraccettivi orali a basso dosaggio, come quelli prescritti di solito negli ultimi anni, possono essere responsabili di spotting intermestruali. Questo effetto indesiderato tende a ridursi fino a scomparire dopo i primi 2-3 mesi di assunzione della pillola. Talora, è stato dimostrato, lo spotting persiste nelle ragazze fumatrici rispetto alle non fumatrici. Il sanguinamento si può verificare anche se la pillola viene dimenticata per molte ore o se viene sospesa bruscamente durante il periodo di assunzione. Il discorso vale anche per le utilizzatrici del cerotto o dell’anello vaginale.

Cerviciti, endometriti, annessiti, ossia infiammazioni del collo dell’utero, dell’utero o delle tube possono determinare delle perdite ematiche intermestruali. Spesso uno spotting in seguito ai rapporti può essere causato da un “ectropion”.

La spirale (dispositivo intrauterino – IUD) può determinare, attraverso uno stimolo meccanico sull’endometrio, una perdita ematica intermestruale o può essere causa di cicli più abbondanti. Polipi, fibromi dell’utero sono spesso causa di sanguinamenti anomali o di cicli abbondanti e spesso comportano l’anemizzazione della paziente. Anche la gravidanza extrauterina, la minaccia d’aborto o patologie legate alla gravidanza possono essere all’origine delle perdite ematiche. Particolare attenzione deve essere posta alle perdite ematiche che si verificano in menopausa. Queste ultime rappresentano un “campanello d’allarme” che deve portare la donna a rivolgersi subito al ginecologo poiché potrebbero rappresentare un sintomo di carcinoma endometriale.

Le indagini strumentali più importanti per la diagnosi delle cause delle perdite ematiche intermestruali sono l’ecografia transvaginale e l’isteroscopia. È importante arrivare ad una diagnosi certa per poter iniziare un trattamento. Nel caso di processi infettivi o infiammatori sarà possibile eseguire una adeguata terapia medica con la somministrazione di farmaci adatti. La terapia medica sarà di aiuto anche in quei casi di sanguinamenti cosiddetti “disfunzionali”, ossia dovuti a problemi ormonali, ripristinando l’adeguato assetto ormonale.