La cardiomiopatia restrittiva

La cardiomiopatia restrittiva

Corrado-Tamburino

La cardiomiopatia restrittiva comprende un gruppo eterogeneo di patologie del muscolo cardiaco caratterizzate dalla presenza di pareti ventricolari rigide e poco distensibili, che si oppongono al riempimento diastolico di uno o entrambi i ventricoli, più frequentemente il sinistro. È possibile distinguere forme primitive e secondarie. Le prime comprendono la forma idiopatica (talvolta familiare con trasmissione di tipo autosomico dominante), la sindrome di Löffler e la fibrosi endomiocardica. Le secondarie includono le malattie infiltrative (es. amiloidosi e sarcoidosi) e quelle da accumulo (es. emocromatosi).

Generalmente le prime manifestazioni cliniche sono rappresentate da sintomi e/o segni dello scompenso cardiaco. In genere i sintomi compaiono lentamente e si manifestano con ridotta tolleranza allo sforzo, astenia, dispnea, edemi declivi ed ascite. Frequente è la comparsa di fibrillazione atriale; più raramente possono manifestarsi aritmie quali blocco atrio-ventricolare di III grado o tachicardie ventricolari.

La diagnosi è confermata tramite diversi esami diagnostici, in particolare l’ecocardiogramma e la risonanza magnetica cardiaca. La risonanza magnetica cardiaca è in grado di dare informazioni sulla struttura del miocardio e spesso permette di individuare l’eventuale causa della cardiomiopatia restrittiva, come nel caso dell’amiloidosi, dell’emocromatosi o della sarcoidosi. Il cateterismo cardiaco e la biopsia endomiocardica sono utili per confermare la diagnosi e guidare il trattamento. Diverse opzioni farmacologiche sono attualmente disponibili per ottenere il compenso cardiaco e rallentare l’evoluzione della cardiomiopatia.

Con la collaborazione della dott.ssa Giordana Finocchiaro