Soccorrere anche chi odia: la lezione civile di Keshia Thomas e Patrick Hutchinson

Soccorrere anche chi odia: la lezione civile di Keshia Thomas e Patrick Hutchinson

Giugno 1996, Ann Arbor, Michignan. Una manifestazione pacifica di centinaia di cittadini contro la riunione di 17 membri del Ku Klux Klan cambia improvvisamente tono non appena qualcuno si accorge che tra la folla si è insinuato un uomo con un tatuaggio delle SS e la maglietta con la bandiera confederata. Il membro del KKK, ormai scoperto, tenta di allontanarsi e comincia a correre non appena tra la gente alle sue spalle si alza il grido “Uccidete il nazista”. Inciampa e cade a terra, su di lui si abbattono i colpi dei bastoni dei cartelli issati dai protestanti. È a quel punto che una 18enne nera, Keshia Thomas, si getta con il proprio corpo addosso all’estremista per fargli da scudo umano e difenderlo dalla violenza della folla.

Giugno 2020, Londra, Inghilterra. Durante una manifestazione organizzata dal movimento Black Lives Matter, alcuni appartenenti ai gruppi di estrema destra attaccano polizia e protestanti. Negli scontri rimangono ferite diverse persone, tra loro un estremista che viene caricato in spalla dal londinese nero Patrick Hutchinson, padre di 2 figli, che lo porta al sicuro, lontano dai disordini, per essere medicato e curato.

Ventiquattro anni dividono i due episodi, avvenuti in contesti e in circostanze diverse, ma sullo sfondo comune del razzismo endemico. Ad accomunarli, però, c’è di più: c’è lo stesso spirito altruista, la stessa spontaneità di chi difende una persona in difficoltà, senza pensare se, a parti inverse, succederebbe altrettanto. Perché non è quello che conta: Keshia e Patrick non hanno agito secondo la logica del “do ut des”, ma si sono fatti avanti di slancio per soccorrere qualcuno in pericolo.

Quando le persone si ritrovano in mezzo alla folla sono più portate a compiere azioni che non avrebbero mai commesso individualmente. Qualcuno doveva farsi avanti e dire ‘Questo non è giusto’”. Con queste semplici parole Keshia Thomas ha spiegato nel 2013 alla BBC il suo gesto. Per la 18enne di allora, e per la donna di oggi, quell’uomo non meritava di essere aggredito: “Nessuno merita di essere ferito, soprattutto per un’idea”. Il membro del Ku Klux Klan non ha detto una parola alla giovane, né lei lo ha più incontrato. Solo mesi dopo l’episodio Keshia è stata avvicinata in un bar da un ragazzo che l’ha ringraziata. Quando lei gli ha chiesto per cosa la stesse ringraziando, il giovane si è limitato a rispondere: “Era mio padre”.

Stephanie Lim, Ann Arbor News/AP

Anche dell’uomo difeso da Patrick non si sa nulla, né se lo abbia ringraziato per averlo tratto in salvo e per il pericolo corso per aiutarlo. Intervistato dalla tv britannica Channel 4, Hutchinson ha spiegato il motivo del suo agire: “Stavano pestando quell’uomo. Era in pericolo di vita. È stato un attimo, non ti rendi davvero conto di quanto sia pericoloso“. Anche il manifestante londinese ha usato il proprio corpo per proteggere l’estremista, ricevendo calci e pugni: “Ho ricevuto moltissimi colpi anch’io, ma per fortuna altri mi hanno fatto scudo. Non sono un eroe. È stato un lavoro di squadra“.

Luke Dray – Getty Images

Agire con disinteresse, soccorrere chi è in difficoltà: è quello che evidenziano le due foto che hanno immortalato i gesti di Keshia Thomas e Patrick Hutchinson. Perché anche in mezzo all’odio e alla violenza può farsi spazio la pietà. Perché se una persona ha bisogno di aiuto, non importa il colore della pelle, lo schieramento politico, la religione o il sesso. Quello che conta è che riceva il soccorso di cui ha bisogno. Ed è questo che fa e farà sempre la differenza, tra uomini e no, tra civiltà e barbarie.