Cassazione, sentenza n. 27466/2018: stalking sussiste anche se la vittima concilia

Cassazione, sentenza n. 27466/2018: stalking sussiste anche se la vittima concilia

Il reato di stalking (dall’inglese to stalk, letteralmente fare la posta) è stato introdotto nel codice penale dal decreto legge n. 11/2009, poi convertito dalla legge n. 38/2009. L’art. 612-bis cod. pen. ne fa una descrizione puntuale: consiste nel comportamento di chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Ma cosa succede quando la vittima del reato di stalking mantiene un atteggiamento tranquillo e conciliante? L’assenza di uno stato di ansia impedisce la configurazione del reato?

Proprio qualche giorno fa, sul punto si è espressa la Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 27466/2018, la quinta sezione penale della Cassazione ha stabilito che “non sfugge all’accusa di stalking la ex fidanzata se la vittima risponde ai suoi atteggiamenti molesti e petulanti, comprese insistenti telefonate, con apparente tranquillità e atteggiamento talvolta conciliante per non aggravare la situazione”.

Davanti ai giudici di Piazza Cavour, l’imputata ha tentato di difendersi censurando la sentenza di condanna della Corte d’Appello nella parte in cui non teneva conto dell’atteggiamento tranquillo della vittima. L’uomo, infatti, aveva sempre risposto alle telefonate della donna, intrattenendosi a parlare con lei. Inoltre, lui non aveva neppure cambiato numero di telefono, con ciò dimostrando di non avere subito un cambiamento delle proprie abitudini di vita.

Detto fatto per la difesa dell’imputata: l’assenza di un grave stato di ansia o di paura nella vittima impediva la configurazione del reato di stalking.

Per la Cassazione, tuttavia, il motivo di impugnazione non andava accolto.

Davanti alla Corte d’Appello, infatti, l’uomo aveva testimoniato che, a fronte della reiterata petulanza della donna e conoscendo la sua fragilità psicologica, non aveva saputo come comportarsi e per questo, talvolta, aveva assunto un atteggiamento conciliante. Inoltre, la vittima non aveva potuto cambiare numero di telefono per motivi di lavoro, avendo moltissimi clienti che erano a conoscenza di quel recapito telefonico.

Altri testimoni avevano dichiarato che l’uomo si mostrava tranquillo davanti all’ex fidanzata proprio per prevenire o rimediare ai suoi comportamenti molesti, ma che in realtà viveva un perdurante stato di ansia. In definitiva, l’atteggiamento conciliante della vittima era solo apparente e derivava da una certa debolezza, oltre che dalla paura. Sussistevano, dunque, tutti gli elementi per la configurazione del reato di stalking.

Questa è stata la motivazione fornita in sentenza dalla Corte d’Appello, che ha così condannato l’imputata. La Cassazione, ritenendo la motivazione stessa scevra da vizi, ha avallato la decisione del giudice di secondo grado e ha così confermato la condanna della donna.

Immagine di repertorio