Coronavirus e linguaggio: le parole “nuove” e non della pandemia

Coronavirus e linguaggio: le parole “nuove” e non della pandemia

Coronavirus e linguaggio: quanto ha cambiato il nostro modo di parlare la pandemia? Una domanda bizzarra, ma che permette di riflettere su come gli eventi influenzino la lingua e il modo in cui la gente la usa.

Un anno fa tante parole erano conservate in un angolo remoto del vocabolario o erano perfino sconosciute ai più, ma con l’emergenza Covid sono entrate di prepotenza nella quotidianità. Si tratta di cambiamenti graduali, che però hanno trasformato le persone e il loro modo di interagire.

Coronavirus e linguaggio: le parole della pandemia

Lo scorso marzo, l’Italia ha iniziato (purtroppo) a familiarizzare con la parola “lockdown“. Non tutti conoscevano il significato di questo prestito dall’angloamericano, che ora è sulla bocca di tutti ogni giorno. Esistono le parole italiane, come chiusura o confinamento, che ben descrivono il protocollo d’emergenza applicato in risposta al Covid. Eppure il termine lockdown ha ottenuto maggior successo e ancora oggi è sui titoli di ogni giornale quando si parla di misure restrittive.

E parlando di restrizioni, come non menzionare una parola che negli ultimi mesi è tornata “di moda”? Si tratta di “coprifuoco“. Termine tristemente associato con il regime fascista e i tempi di guerra, è stato utilizzato dai media e dalla popolazione in riferimento alle chiusure anticipate e al divieto di circolazione attualmente attivo dalle 22 alle 5 a causa dell’emergenza sanitaria. Lo stesso premier Conte non apprezza il riferimento al termine coprifuoco, ma in fondo lo usano tutti.

Tra le nuove parole entrate nel linguaggio comune ci sono quelle legate alle nuove “abitudini” del 2020, come lo smart working (o lavoro agile) e Dad (sigla che indica la didattica a distanza). Certo non sono neologismi, ma da marzo a ora il loro uso è incrementato notevolmente. Espressione legata alla triste realtà di questo momento è anche distanziamento sociale, la “regola” cardine della lotta alla pandemia che ha al contempo diviso e unito la popolazione.

Infine, tanti vocaboli e diverse espressioni legate al Coronavirus hanno lasciato il ristretto ambito della medicina per essere utilizzati e riutilizzati da tutti: curva epidemiologica, paziente zero, tampone… L’elenco è molto lungo e presto potrebbe crescere ancora.

Parole “nuove” o “rinate”?

La domanda è: tutte queste parole non esistevano forse già? La risposta è sì, in buona parte esistevano prima del Covid-19 ed esisteranno dopo. Molte erano sconosciute e ora sono quotidiane; altre faticano ancora a diffondersi per la loro natura scientifica; altre ancora sono “rinate” e hanno acquisito un significato nuovo.

Anche le parole più “banali”, come virus e vaccino, hanno un significato più ricco e vario ormai. E anche termini di natura settoriale, come Dpcm per la politica e indice Rt per l’ambito della medicina, stanno diventando di pubblico dominio tra giovani e anziani. Perfino i bambini li conoscono e utilizzano regolarmente.

Non si parla più come prima e probabilmente non si tornerà a farlo. Una considerazione strana, che vale come dimostrazione della vitalità e della dinamicità linguistica che accompagna le dinamiche storiche più complesse, nel bene e nel male.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay