MESSINA – Un provvedimento restrittivo importante, che ha tolto i veli dal clan Spartà di Messina, disarticolato grazie all’operazione “Polena” che ha condotto agli arresti di otto persone.
Tra rispetto, usura e cassa comune tenuta da Raimondo Messina, uno dei principali esponenti della “famiglia”, non è ancora finita. C’è davvero tanto altro, come le estorsioni e intestazioni fittizie.
La consorteria mafiosa si è costantemente dimostrata capace di interferire e di condizionare l’attività di alcuni imprenditori messinesi, non solo imponendo assunzioni di personale indicato dai sodali, ma anche imponendo loro le scelte imprenditoriali.
In particolare, è stato accertato nel corso dell’inchiesta come un pasticcere sia stato obbligato a interrompere la vendita di bibite e caffè all’interno alla propria pasticceria, al fine di eliminare del tutto la concorrenza al bar “Il Veliero”, riconducibile a Raimondo Messina. Questo locale sarebbe stato responsabile di un calo degli introiti, per questa ragione andava chiuso.
In un ulteriore episodio, un imprenditore attivo nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, è stato costretto con violenza e minaccia a interrompere le forniture di carne e lavorati di macelleria ad alcuni ristoranti cittadini per favorire la nascente attività di macelleria di uno degli indagati. Altra fonte di intromissione nel normale svolgimento dell’attività imprenditoriale delle vittime è stata individuata nell’acclarata consuetudine di imporre l’assunzione nei loro esercizi commerciali di parenti e conoscenti degli indagati, oltre che di impedirne il licenziamento.
Il bar “Il Veliero“sarebbe stata la propria base logistica, un luogo sicuro dove incontrarsi per parlare riservatamente degli affari illeciti. Nel corso delle indagini, infatti, è stato registrato un mutamento societario totalmente orchestrato da Messina, unico punto di riferimento per i professionisti, avvenuta senza che sia mai stato richiesto alcun parere alla madre, socia unica dell’impresa e amministratore della stessa. In concomitanza con il mutamento societario, Messina si è anche occupato uti dominus della ristrutturazione del locale, seguendo sempre in prima persona anche i rapporti con i dipendenti – decidendo licenziamenti e assunzioni – nonché con i fornitori, il che ha consentito di ritenere che la titolarità dell’esercizio da parte della madre avesse lo scopo di sottrarre il bar a eventuali misure patrimoniali a suo carico.
Non solo imprenditori: ulteriore lucroso settore di interesse dell’associazione si è dimostrato essere quello delle estorsioni in danno dei giocatori, frequentatori di alcune sale gioco cittadine controllate dalla stessa consorteria.
È stato documentato, infatti, come il titolare di una sala scommesse sia stato costretto a cedere loro la proprietà, a causa delle difficoltà economiche dallo stesso palesate, pretendendo anche il pagamento della somma di 5mila euro, per una serie di giocate effettuate con denaro “a credito” delle società di scommesse.
Ben più incisivi sono risultate le modalità con cui i giocatori sono stati costretti a pagare i debiti di gioco contratti con i gestori delle sale. In particolare, sono stati censiti numerosi episodi in cui il debitore dapprima è stato esplicitamente minacciato di violenza e ritorsioni fisiche – “ti spezzo le gambe” – e, successivamente, i sodali facevano riferimento alla propria fama criminale e alla loro appartenenza all’associazione mafiosa.
Ricorrendo a tali forme di coartazione, gli indagati sono riusciti a recuperare tutti gli asseriti crediti vantati, che variavano dai 3 ai 10mila euro. Al riguardo appare significativa la vicenda che ha visto coinvolta una commerciante cittadina, frequentatrice di una delle sale giochi investigate che, a fronte di un debito contratto a un tavolo da poker illegale, pari a circa 6mila euro, è stata costretta dapprima a versarne 10mila in contanti, poi a consegnare un anello del valore stimato in altri 6mila euro e infine un orologio di una nota marca svizzera del valore di mercato che si aggira ai 4mila euro.