ITALIA – Si desidera una vera e propria parità di trattamento, ma ancora le discriminazioni uomo/donna persistono nella società attuale sia nel mondo del lavoro che in quello della politica.
Questo ci mostra quanto lento e difficile sia il cammino verso il superamento del divario di genere e quanto sia tortuosa la strada che porta alla totale uguaglianza sostanziale in questi ambiti tanto delicati.
Ai microfoni di NewSicilia, l’avvocato Chiara Catania ha esposto un’attenta analisi del tema della condizione femminile in politica, ripercorrendo le tappe storiche e giuridiche significative che hanno aggiunto ulteriori tasselli per affievolire – sempre più – le differenze tra i due generi. Ma c’è ancora tanto lavoro da effettuare.
I progressi compiuti
Sicuramente sono stati compiuti, negli anni, notevoli progressi. Le donne, infatti, durante il XIX e il XX secolo, hanno avuto sempre maggiori diritti, precedentemente riconosciuti solo agli uomini.
I pieni diritti tra uomo e donna in Italia sono garantiti e pienamente riconosciuti dal 1 gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica. Rimangono però numerose disuguaglianze in ambito politico, sociale ed economico che devono essere ancora pienamente superate.
“Solo 5 donne hanno ricoperto massime cariche dello Stato”
“Al 2021, infatti, solo 5 sono le donne che hanno ricoperto 3 delle 5 massime cariche dello Stato. Alla seconda carica dello Stato, quella di presidente del Senato della Repubblica è arrivata per la prima volta una donna il 24 marzo 2018: si tratta della politica Maria Elisabetta Alberti Casellati. La terza carica dello Stato, quella di presidente della Camera dei deputati, è stata ricoperta per la prima volta da Nilde Iotti, poi da Irene Pivetti e da Laura Boldrini“, spiega l’avvocato.
“Nessuna donna è mai stata eletta presidente della Repubblica Italiana o presidente del Consiglio dei ministri. Nel 2014 Giorgia Meloni diventa la prima donna (e unica al momento) leader di un partito popolare in Italia, Fratelli d’Italia. Nel 2016 Virginia Raggi diventa la prima donna a ricoprire la carica di sindaco di Roma“, prosegue.
Italia vs altri Paesi
La condizione femminile in Italia è radicalmente cambiata rispetto al passato, anche grazie ai progressi compiuti nella partecipazione delle donne alla vita politica, ma resta al di sotto dei Paesi più avanzati, quali la Spagna, la Germania, la Francia.
Facendo un resoconto, “la percentuale delle donne elette in Parlamento alle ultime elezioni era soltanto del 30%. Tuttavia, non si può negare che vi sono stati notevoli progressi contro la discriminazione di genere, e adottate misure per garantire una più equilibrata rappresentatività tra uomini e donne nelle cariche elettive“.
Interventi oggi più che mai auspicati soprattutto nelle Regioni dove la quasi totale mancanza di componente femminile nelle istituzioni ha reso opportuna l’adozione di misure per incoraggiare l’accesso alle cariche politiche.
Interventi a livello Europeo
Temi come la rappresentanza femminile nelle assemblee elettive e, più in generale, gli istituti volti al riequilibrio della rappresentanza di genere, sono molto dibattuti anche nell’Unione Europea, il cui diritto afferma sin dalle sue origini il primario principio della parità di genere.
Eppure, di fatto la parità di genere in politica è ancora molto lontana dall’essere raggiunta, basta un rapido sguardo alle amministrazioni locali.
“Uno dei motivi della ridotta partecipazione delle donne alla vita politica e amministrativa va ricercato in quel retaggio culturale secondo cui la politica e in generale la res publica è ‘cosa da uomini’, mentre le donne sono destinate alla cura del privato e all’accudimento dei figli“, puntualizza.
“Spesso con riferimento a donne che assumono una carica di prestigio, viene insinuato il sospetto dell’esistenza di un “protettore” che l’abbia agevolata nella nomina“, aggiunge.
A oltre 75 anni dal riconoscimento del diritto di voto alle donne, “la presenza femminile nelle istituzioni rappresentative (e in particolare nei ruoli di vertice) e nei luoghi della decisione politica costituisce ancora un aspetto problematico della democrazia italiana. È innegabile però che gli interventi legislativi dell’ultimo ventennio hanno contributo a un significativo miglioramento della situazione“.
Deficit democratico
È stato a partire dagli inizi degli anni Novanta che si è diffusa una maggiore consapevolezza di questo deficit democratico. Pertanto: “In questo contesto si inserisce la legge 25 marzo 1993, n.81 che – disciplinando l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale – prevedeva una riserva di quote per l’uno e per l’altro sesso nelle liste dei candidati (25) alle amministrative“.
“Un ulteriore impulso è arrivato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, che ha modificato l’art. 51 della Costituzione in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive sancendo espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini. Ma è stato solo con il nuovo millennio che il legislatore si è impegnato per garantire una maggiore presenza femminile a tutti i livelli“, ricorda.
Contro il monopolio prettamente maschilista della politica, la legge 3 giugno 1999, n. 157 ha previsto l’obbligo, per ogni partito o movimento finanziato dallo Stato, di destinare almeno il 5% dei rimborsi elettorali a “iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica“.
Parlamento Europeo e donne
Anche il Parlamento europeo è sempre stato molto attivo nel raggiungere l’uguaglianza fra donne e uomini e ha una commissione permanente sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.
Ha chiesto ripetutamente un maggiore sforzo per la partecipazione delle donne in politica, per promuovere così un processo decisionale più giusto e inclusivo a tutti i livelli.
Altresì, lo stesso ha chiesto a tutti i partiti politici europei di “assicurare che uomini e donne vengano proposti in maniera eguale per ricoprire le cariche più importanti nel Parlamento europeo. Dal 2004 a oggi una serie di leggi hanno cercato di migliorare la parità di genere negli organi di rappresentanza politica“.
Passi in avanti, ma non bastano
Non sempre, però, con gli effetti sperati. Basti pensare che, a oggi, “il 14% dei sindaci italiani è di sesso femminile e solo 2 delle 21 tra regioni e province autonome sono guidate da donne. Anche nell’attuale esecutivo la situazione non è migliore. Undici donne e l’80% di uomini“.
Fino al 2018, la legge elettorale per le elezioni del parlamento non prevedeva dei meccanismi per favorire la parità di genere. Con l’approvazione del Rosatellum Bis sono state inserite norme di genere sia per i collegi plurinominali che per quelli uninominali.
“Il primo correttivo riguarda l’obbligo nella presentazione delle liste nei collegi plurinominali di seguire un ordine alternato di genere. Nessuno dei due sessi, inoltre, può essere rappresentato in misura superiore al 60% nella posizione di capolista“, precisa l’avvocato Chiara Catania.
Ancora: “A tutela della parità, sono intervenute le cosiddette “quote rose“, imposte dalla legge n. 120 del 2011 nei Consigli di amministrazione. E poi materia di leggi elettorali a livello locale e nazionale per garantire una rappresentanza di genere“.
“Poi c’è la legge 23 novembre 2012, n.215 la quale promuove il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali“, ricorda.
Donne ancora svantaggiate rispetto agli uomini
L’Italia, quindi, è ancora molto lontana dalla parità nel campo politico e nel campo economico. Sebbene l’uguaglianza di diritto tra uomo e donna sia stata raggiunta, le donne continuano a essere svantaggiate in numerosi ambiti della vita quotidiana.
Sono ampiamente sottorappresentate nelle istituzioni politiche, nell’ambito dell’insegnamento superiore (scuole universitarie professionali e Università), così come nelle posizioni dirigenti delle amministrazioni e delle imprese.
“La conciliazione della vita familiare e professionale o di un’attività politica rimane il problema principale nella parità tra uomo e donna. La violenza e la povertà costituiscono tuttora fattori centrali nella discriminazione femminile“, ribadisce.
“Le discriminazioni sprecano il talento umano necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni sociali e le disuguaglianze. La lotta alla discriminazione è parte essenziale della promozione del lavoro dignitoso“, aggiunge.
Promuovere opportunità
L’obiettivo principale è quello di promuovere opportunità per donne e uomini di ottenere un lavoro dignitoso in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana.
Come realizzare questo scopo? “Intensificare gli sforzi per migliorare l’accesso delle donne a posti di lavoro dignitosi rappresenta un’importante opportunità per promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo“, riferisce l’avvocato.
“A tal proposito, richiamo le cosiddette ‘politiche di genere‘, vale a dire quell’insieme di norme, iniziative, politiche, azioni positive e misure volte a rimuovere ogni aspetto discriminatorio diretto o indiretto, sotto il profilo formale o sostanziale, nei confronti delle donne, nonché volte ad eliminare tutti gli ostacoli sfavorevoli alla realizzazione del principio delle pari opportunità“, conclude.
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