Sessualità dietro le sbarre: aumenta l’omosessualità tra i detenuti

Sessualità dietro le sbarre: aumenta l’omosessualità tra i detenuti

CATANIA – Da sempre il tema della sessualità è stato un tabù, sopratutto quando si parla dei detenuti. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che nega la sessualità all’interno delle carceri. Ciò cosa comporta? Quali sono i rischi e le conseguenze di questa negazione?

Le carceri italiane vedono divisi i detenuti di sesso maschile da quello femminile. La prima conseguenza di questa privazione affettiva provoca disturbi delle sessualità e quindi la tendenza ad atti omosessuali tra i carcerati, che talvolta mutano in violenze.

Il carcere è un’istituzione totalizzante – spiega la psicologa e psicoterapeuta, dottoressa Valentina La Rosa – dove l’identità delle persone viene destrutturata, l’uomo perde i contatti umani che lo portano alla ricerca di affetto. Ciò si tramuta in rapporti trai i detenuti dello stesso sesso, che potrebbero anche restare ‘fedeli’ alla propria identità sessuale“.

I motivi, però, possono essere anche altri. Infatti, dietro le sbarre si trovano anche persone con disturbi della personalità, per questa ragione possono avvenire fatti del genere. Tuttavia queste conseguenze possono avere dei rischi. Vari sono stati i casi di violenze sessuali tra i carcerati e qualcuno di loro, a causa anche del disturbo di personalità, è autolesionista e arriva al punto di volersi togliere la vita.

Questa tendenza non varia da un soggetto maschile a quello femminile perché, in quanto esseri umani, i bisogni sessuali sono i medesimi.

Il sovraffollamento, la mancanza di igiene, l’assenza di una buona assistenza sanitaria e la sessualità negata sono fattori ostili che, inoltre, non aiutano i detenuti a reintegrarsi all’interno della società. Dal punto di vista dell’identità sessuale, i carcerati riprendono la loro vita eterosessuale all’uscita del carcere. Tuttavia chi è stato vittima di violenze, ricorderà per sempre quelle ferite e ne sarà influenzato.

La soluzione a questo ‘problema’ sarebbe “la creazione di condizioni umane e contesti dove non vengano privati i diritti dei carcerati che prima di tutto sono persone – conclude la dottoressa La Rosa -. Questo sarebbe positivo anche per la società, poiché i detenuti necessitano una rieducazione per il reinserimento nella vita reale“.