Rassegnazione, povertà e fine del ceto medio: il volto di Catania sotto la maschera

Rassegnazione, povertà e fine del ceto medio: il volto di Catania sotto la maschera

CATANIA – Una città definita in crescita, almeno guardando al turismo e a ciò che può offrire. Ma, buttando giù la maschera, la realtà della città di Catania e della Sicilia in generale è meno rosea di quello che si possa pensare. Le famiglie indigenti sono in crescita, 29% contro il quasi 22 del 2016, ed è la seconda a livello nazionale. Peggio solo la Calabria.

Un disagio che non riguarda solo le aree meno sviluppate dell’Isola, ma anche le città più grandi. Negli ultimi 3 anni, nella città etnea, si è registrato un netto aumento dei catanesi bisognosi che, la sera, si presentano nelle zone in cui poter ritirare la cena e portarla a casa. Una casa, che, però, a volte non ha energia elettrica o dove non si ha la disponibilità economica per riempire il frigorifero.

Questo è il ritratto “dipinto” da Emiliano Abramo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. “Tra i più bisognosi figurano gli anziani, che si trovano in un periodo storico difficile per far fronte alle necessità di figli e nipoti. I loro stipendi, a volte, servono a rimpinguare le finanze della prole che ha uno stipendio precario”.

Quello che, però, colpisce è il ceto di provenienza: gente per bene e con una buona educazione alle spalle. “Spesso si tratta di persone colte e chiedono aiuto per la spesa, i farmaci o per pagare le bollette. Questo mix non rende le cose facili per loro, che devono superare le difficoltà legate alla dignità”.

Il ceto medio sembra proprio non esistere più e la “forbice” tra più ricchi e meno abbienti diventa sempre più nitida e visibile. Non solo gli anziani che aiutano i figli, infatti, fanno parte di quel gruppo di persone che chiedono ausilio. A loro si uniscono anche alcuni ragazzi, quelli che sperano in un piccolo lavoro per arrotondare e in un supporto per pagare le tasse: “Si tratta – spiega Abramo – di studenti che devono far fronte alle spese universitarie e che, il più delle volte, faticano perché uno dei genitori, a causa dei tagli del personale, perde parte dello stipendio o il posto di lavoro”.

A completare questo quadro ci sono i Neet (Not engaged in Education, Employment or Training), coloro che, fino ai 40 anni, non studiano e non lavorano. La Sicilia ha il record negativo Europeo in termini di percentuale. Quello che è grave è che “molti giovani cadono nell’oblio della rassegnazione, nonostante loto dovrebbero essere la forza lavoro”.

Ai catanesi si aggiungono anche altre figure: i migranti. Negli ultimi anni sono stati tanti quelli sbarcati in Sicilia e che aspettano il permesso per rimanere in Italia o in Europa: “Alcuni di loro vengono portati in centri di accoglienza, come il Cara. Altri, invece, rimangono per poco tempo, al massimo una settimana. Il tempo di poter fare i biglietti e andare in altre città a cercar fortuna. Diciamo – dichiara Emiliano Abramo – che questa è una povertà che viene accarezzata, ma non è quella che caratterizza Catania. A essere pregnante è quella degli anziani, aggravata dall’invecchiamento della popolazione e dal loro impoverimento”.

Cosa fare, dunque, per arginare il problema? “Credo che, al momento, il governo nazionale, regionale e locale siano ancora in una fase iniziale e devono vedere che impronta dare a questo argomento. Però, è anche vero che non mi sembra di aver visto impulsi particolari su questo tema”.

Nell’attesa, però, la situazione potrebbe diventare ancora più drammatica a causa dell’astensionismo e del populismo, con i problemi degli altri che sembrano non riguardarci. A tal proposito, nella città dell’Elefante, ci sarà un tavolo tecnico fra la nuova amministrazione del sindaco Salvo Pogliese e le diverse associazioni che sono vicine a questa parte della popolazione e provenienti da diversi quartieri della provincia.

Il comune, infatti, ha ufficializzato un’ordinanza per la quale chi vive in strada dovrà essere multato, anche fino a 300 euro: “Il problema è che a queste persone bisogna dare un’alternativa su dove andare. Ed è anche vero che bisognerebbe avere contezza dei numeri. A Catania, le persone che vivono in strada sono appena 48, pochissime in confronto alle altre città siciliane. Il rischio – spiega Abramo – è che, così facendo, si ingigantisca ulteriormente una spaccatura nella società, piuttosto che creare un clima di solidarietà. tuttavia, abbiamo notato grande disponibilità al dialogo”.

Aspetto fondamentale, se si pensa che, a inizio giugno, un bielorusso ha perso la vita in strada per mancanza di assistenza sanitaria.