CATANIA – Andare là dove bisogna essere. Per vedere, capire e testimoniare. È questo il principio che animava il giornalismo di Maria Grazia Cutuli, la firma catanese del Corriere della Sera uccisa dai talebani in un agguato in Afghanistan il 19 novembre 2001.
Aveva fame di mondo e di storie Maria Grazia Cutuli, lo dimostra ogni tassello della sua storia di donna sensibile e coraggiosa, di giornalista caparbia e scrupolosa.
Gli inizi della carriera e l’arrivo al Corriere della Sera di Maria Grazia Cutuli
Nata nel capoluogo etneo il 26 ottobre del 1962, si era laureata con lode in Filosofia all’Università di Catania. Dopo le prime collaborazioni con La Sicilia e Telecolor, alla fine degli anni ’80 si trasferisce a Milano. Lavora dapprima ai periodici Centocose e Marie Claire, poi approda al settimanale Epoca, grazie al quale si avvicina alla sua vera passione: la politica estera.
Ben presto inizia a collaborare con l’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, a seguito del quale, prendendosi un anno di aspettativa dal giornale, parte come volontaria per il Ruanda. È solo uno dei molteplici viaggi che la portano in giro per il globo, a toccare con mano le sofferenze delle popolazioni piegate da guerra, miseria e fame. Firma reportage da Albania, Bosnia, Cambogia, Congo, Iraq, Sarajevo, Sierra Leone e Timor Est. Di ogni luogo la giornalista restituisce con precisione e acuta sensibilità non solo la cronaca degli avvenimenti, ma anche la storia e i costumi, con un’attenzione particolare rivolta alla condizione delle donne.
Se non può partire per conto del giornale, Maria Grazia Cutuli approfitta delle proprie ferie per catapultarsi in prima linea a raccogliere testimonianze dirette della vita vissuta lì dove vedere un giorno in più non è dato per scontato.
Un percorso che la porta, nel 1997, in via Solferino, sede storica del Corriere della Sera. L’assunzione a tempo indeterminato arriva due anni più tardi. È la redazione Esteri la sua base.
Inviata in Afghanistan
Il 13 settembre 2001, due giorni dopo gli attentati alle Torri Gemelle, viene inviata in Afghanistan. Parte per Gerusalemme e attraversa il Pakistan, dove il 26 ottobre, a Peshawar, festeggia il 39esimo compleanno. Brinda in compagnia dei colleghi reporter, in una parentesi di spensierata normalità che nulla lascia presagire del doloroso destino che di lì a pochi giorni si consumerà.
Giunta in Afghanistan Maria Grazia Cutuli indaga gli orrori evidenti e scopre quegli nascosti. Racconta di Kabul e delle sue donne celate agli occhi del mondo sotto il giogo del burqa. E rintraccia le prove degli atti di terrorismo che portano il marchio di Al Quaeda e Osama bin Laden. Con il collega Julio Fuentes del giornale spagnolo El Mundo trova, in una base abbandonata, un deposito di gas sarin. La scoperta viene pubblicata in un ampio e dettagliato reportage pubblicato in primo piano dal Corriere della Sera. È il 19 novembre 2001. Mentre i lettori leggono quello che, purtroppo, diventerà il suo ultimo pezzo, l’auto a bordo della quale Maria Grazia Cutuli viaggia insieme ad alcuni colleghi viene fermata dai talebani a Sarobi, lungo la strada che collega Jalalabad a Kabul.
L’agguato mortale, “un omicidio politico”
L’agguato mortale si consuma in pochi drammatici minuti. Uomini armati costringono il gruppo di giornalisti a scendere dal mezzo. Non c’è tempo per elaborare cosa sta accadendo. Le raffiche di kalashnikov esplodono improvvise e non lasciano superstiti. L’autopsia stabilirà che i colpi mortali hanno raggiunto la giornalista siciliana alla schiena. Con lei muoiono il collega spagnolo Julio Fuentes e due corrispondenti dell’agenzia Reuters: l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari. I loro corpi, abbandonati tra le pietre e la sabbia ai margini della strada, verranno recuperati solo il giorno dopo l’assassinio.
“Un omicidio politico”, è così che l’uccisione lungo la strada di Sarobi è stata definita dalla I Corte d’Assise di Roma, il 29 novembre 2017, nella sentenza che ha condannato a 24 anni di carcere (per assassinio e rapina) due imputati afghani: Mamur Gol Feiz e Zar Jan. Secondo quanto ricostruito nel corso del processo, si sarebbe trattato di un atto vile e cruento compiuto dai talebani con lo scopo di dimostrare di avere ancora il controllo del territorio.
Nel 2004 in Afghanistan era già stato condannato alla pena capitale per omicidio Reza Khan. Nonostante l’opposizione della famiglia Cutuli, contrari all’esecuzione, Khan venne fucilato nell’ottobre del 2007.
Inviata speciale alla memoria, il ricordo di Maria Grazia Cutuli
A diciannove anni dalla sua scomparsa il ricordo della giornalista catanese non si è mai affievolito. In Afghanistan, a Maimanà e Herat, in sua memoria sono state costruite e intitolate due scuole, due piccole fortezze blu cobalto che accolgono centinaia di bambine e bambini.
Anche in via Solferino la memoria di Maria Grazia Cutuli è viva. Nell’atrio della sede del Corriere della Sera è collocato un suo busto. Un onore dedicato solo alle due vittime di terrorismo del giornale: la giornalista catanese e il collega Walter Tobagi, ucciso da un gruppo di estrema sinistra il 28 maggio 1980.
Promossa inviata speciale alla memoria, per decisione dell’allora direttore del Corsera, Ferruccio De Bortoli, Maria Grazia Cutuli amava e viveva il giornalismo più difficile: quello che racconta storie senza filtri, in modo onesto e indipendente. Che cerca e scova le notizie là dove prendono vita e forma. Ancora una volta, vedere per testimoniare. Anche a costo della vita.