Da Catania all’Afghanistan per raccontare il mondo: il ricordo di Maria Grazia Cutuli

Da Catania all’Afghanistan per raccontare il mondo: il ricordo di Maria Grazia Cutuli

CATANIA – Oggi avrebbe 57 anni e probabilmente sarebbe ancora una personalità di spicco del giornalismo nazionale e internazionale, ma un atroce agguato mortale ha spezzato la sua vita a soli 39 anni: si tratta di Maria Grazia Cutuli, catanese, inviata del “Corriere della Sera” assassinata in Afghanistan esattamente 17 anni fa, il 19 novembre 2001.

Dopo la laurea in Filosofia all’Università di Catania, Maria Grazia Cutuli aveva iniziato la sua brillante carriera giornalistica nella sua città, come collaboratrice prima per “La Sicilia” e successivamente per l’emittente televisiva “Telecolor”.

Poi la decisione di trasferirsi a Milano: nonostante amasse la propria terra, infatti, la giovane e intraprendente catanese sapeva di doverla lasciare per potersi dedicare alla sua vera passione: esplorare e raccontare il mondo.

Dopo numerose collaborazioni con quotidiani e riviste, per Maria Grazia arrivò il momento della svolta: la collaborazione con l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Fu grazie a quest’esperienza che la giornalista maturò personalmente e professionalmente, apprendendo nozioni fondamentali di politica estera e venendo a contatto con realtà lontane e spesso tormentate da guerre, povertà e conflitti.

Determinazione, coraggio, voglia di conoscere il mondo e la totale assenza di pregiudizi la portarono a distinguersi in ambito giornalistico e la aiutarono ad approdare al settimanale “Epoca” e, nel 1997, al “Corriere della Sera”.

La redazione, però, le stava stretta: Maria Grazia voleva essere lì dove c’erano le notizie, dove esistevano realtà sconvolgenti da scoprire e comunicare al pubblico internazionale, dove si trovavano volti da conoscere e storie da pubblicare.

Cambogia, Somalia, Ruanda, Bosnia e Afghanistan: queste le terre ai margini del mondo attraversate dalla giornalista con computer e macchina fotografica, gli strumenti prediletti per descrivere e immortalare la realtà degli emarginati e degli indifesi.

Non le importava che il suo fosse un compito difficile e tanto meno considerava rilevante il fatto che la gente considerasse il mestiere di inviato un “lavoro da uomini”: per lei, infatti, il giornalismo era una questione di coinvolgimento, tenacia, coraggio e soprattutto umanità, quella caratteristica che distingue chi scrive soltanto e chi scrive e vive davvero la storia che narra. Lo si capisce dai suoi numerosi reportage e dalle immagini e i filmati che la ritraggono nei luoghi delle sue indimenticabili avventure.

Anche quando nessuno ti regala niente, bisogna continuare a lavorare e a rivelare la verità nascosta dietro apparenze e pregiudizi: questo era il “comandamento” professionale di Maria Grazia Cutuli.

Grazie al suo impegno e alla sua forza di volontà, la giornalista ottiene finalmente l’incarico dei sogni: nel 2001, dopo il terribile attentato alle Torri Gemelle, Maria Grazia venne inviata in Pakistan per seguire la guerra contro Al-Qaeda.

Dal Pakistan passò poi all’Afghanistan. Stava percorrendo i 150 chilometri che separano Jalalabad dalla capitale, Kabul, quando, quel tragico 19 novembre 2001, rimase vittima di un terribile agguato nella città di Sarobi. Assieme a lei viaggiavano Julio Fuentes, inviato del quotidiano spagnolo “El Mundo”, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti di “Reuters”.

Quello stesso giorno, sulle pagine del “Corriere della Sera” appariva l’ultimo articolo dell’inviata catanese: “Un deposito di gas nervino nella base di Osama”, che denunciava la presenza di contenitori di armi chimiche abbandonati in un campo di Al-Qaeda a Jalalabad. Un argomento pericoloso, specie in una zona di guerra, ma a Maria Grazia poco importava: raccontare la verità e difendere la libertà di parola e di stampa era la sua missione, che andava difesa anche a costo della vita.

A 17 anni dalla scomparsa dei quattro giornalisti, sono ancora molti i dettagli da chiarire sull’atroce fine di Maria Grazia Cutuli e dei suoi colleghi, ma l’attività della famiglia della catanese (e delle altre vittime) e dei giudici per trovare la verità e onorare la memoria delle persone uccise non si è mai fermata.

Il 15 novembre scorso la prima Corte d’Assise d’Appello ha confermato la condanna a 24 anni di reclusione per omicidio e rapina (tra gli oggetti sottratti dai malviventi anche il computer e la macchina fotografica dell’inviata 39enne) per Mamur e Zan Jan, i due afghani accusati dell’assassinio, che al momento starebbero scontando in patria rispettivamente 16 e 18 anni di reclusione.

Significative per ricordare il ruolo di Maria Grazia Cutuli (e degli altri reporter morti per difendere la libertà di parola, che spesso fa paura ai potenti) le parole dell’avvocato della famiglia dell’inviata, Paola Tuiller, che dopo la lettura della sentenza ha affermato: “Questo processo era dovuto a chi si è sacrificato per il suo Paese, è andato in Afghanistan consapevole dei rischi che correva, per rispettare il fondamentale diritto della libertà di stampa, cardine della democrazia (fonte della dichiarazione: Ansa).

Fonte immagine: Corriere della Sera – La Ventisettesima Ora