La Corte di Cassazione conferma: quella del clan Casamonica è una struttura criminale di stampo mafioso

La Corte di Cassazione conferma: quella del clan Casamonica è una struttura criminale di stampo mafioso

Che ci fossero degli inquietanti parallelismi con le mafie tradizionali mi sembrò del tutto evidente nel 2012 quando, da giovane cassazionista, iniziai a frequentare Roma. In quel periodo conobbi Alessandro Iacovelli, ufficiale dei carabinieri impegnato nella lotta alla criminalità organizzata autoctona, esperto conoscitore della materia e pioniere di un certo tipo di indagini. I suoi carabinieri, qualche tempo prima, all’esito di una mega inchiesta durata qualche anno, avevano espugnato un porto franco criminale a sud della capitale, arrestando una quarantina di esponenti del clan Casamonica e procedendo al sequestro preventivo di beni, anche per equivalente, per svariati milioni di euro. Leggendo le carte processuali mi parve chiaro, sin da subito, che quella articolatissima attività avrebbe gettato le basi affinché la parabola della consapevolezza librasse in forte ascesa sino a raggiungere – prima o poi – il suo zenith giudiziario.

La Cassazione lo ha confermato oggi: quella dei Casamonica è mafia. La Suprema Corte ha infatti ribadito l’associazione mafiosa per il clan Casamonica nell’ambito del maxiprocesso al gruppo criminale romano che vede imputate una trentina di persone, tra cui anche i vertici. É stato accolto il ricorso del procuratore generale e riconosciuta nei confronti di alcuni capi anche l’aggravante della natura “armata del sodalizio”. Per loro, quindi, è stato disposto un nuovo processo di appello per la rideterminazione della pena.

La Cassazione ha, pertanto, definitivamente sancito che quella del clan romano è una struttura criminale di stampo mafioso. Nei confronti di alcune posizioni minori è, invece, venuta meno l’aggravante di avere agito nell’interesse del clan. La Cassazione ha inoltre confermato l’esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, con funzione agevolatrice della associazione mafiosa.

Regge quindi anche al vaglio della Suprema Corte l’impianto accusatorio dei magistrati della Dda di piazzale Clodio, poi ribadito nella sentenza di secondo grado. Nei confronti degli imputati le accuse erano, a seconda delle posizioni, di associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, all’estorsione, l’usura alla detenzione illegale di armi. Nel corso del primo processo di appello le condanne più alte furono inflitte ai vertici dell’organizzazione e, in particolare, a Domenico (30 anni), Massimiliano (28 anni e 10 mesi), Pasquale (24 anni), Salvatore (26 anni e 2 mesi), Ottavio (17 anni), Giuseppe (16 anni e 2 mesi), Guerrino (16 anni e 2), Liliana (15 anni e 8 mesi) e Luciano Casamonica (13 anni e 9 mesi).

Nel corso della requisitoria i rappresentanti dell’accusa avevano affermato che “l’indagine della procura di Roma ha posto fine allo strapotere dei Casamonica. Un clan da anni a braccetto con Banda della Magliana e poteri forti della capitale con una forza di intimidazione impressionante”. La galassia Casamonica, sostennero ancora i magistrati, “è quella peculiare struttura dell’organizzazione che porta i diversi gruppi ad unirsi quando c’è bisogno”. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici scrissero che l’istruttoria dibattimentale “ha rassegnato significativi elementi di prova della natura mafiosa del clan Casamonica operante nel quadrante sud-est della città di Roma, identificabile nella zona di Porta Furba e nei quartieri Romanina e Cinecittà”.

AVV. ELENA CASSELLA