“Violeta” di Isabel Allende

“Violeta” di Isabel Allende

Il Sud America è casa della scrittrice Isabel Allende che del Sud America ha scritto migliaia di pagine intrecciate ai destini di numerose famiglie. Due, tre generazioni poste sotto la lente indiscreta di una scrittrice che con le parole ha lavorato per ottanta primavere della sua vita.

La protagonista Violeta del Valle dà il titolo al romanzo dove stavolta la centrifuga dei nomi pone un freno a incomprensibili gradi di parentela a uso e consumo dei suoi romanzi. Culla instabile fu quella di Violeta, nata durante l’epidemia del 1920, l’influenza spagnola conosciuta come “la spagnola” che ha seminato nel mondo trenta milioni di morti. Un angelo però cercò di rimediare al dramma consegnandola tra le braccia di una famiglia agiata, un nido accogliente per l’unica figlia femmina.

La leggerezza dell’innocenza fu manomessa da un piano diabolico ben incastrato da chissà quale rabbiosa entità. Il crollo finanziario prima, la morte del padre poi, tesero le mani a una rivoluzione mai creduta possibile negli anni pieni di luce a favore. Il trasloco in una comunità rurale intorpidì l’anima di Violeta già poco acquiescente ai doveri senza tentare una seppur minima deviazione della rotta. La terra chiede, la terra dà, c’è una sequenza di obblighi da rispettare.

Il muro del limite non deve essere travalicato, pena l’annientamento definitivo del futuro dato in pasto al cosmo soltanto per aver osato. Dai primi spasmi esistenziali di Violeta traspare un non facile rapporto con l’altra metà di una mela scelta tra tante, poco o per niente interessata alla sincerità del battito. Inevitabile fu l’incrocio con lo sguardo sbagliato, quello di Julian Bravo, un pirata dei sentimenti di Violeta già sposa della parte sana della mela.

Passione e spericolata sfida in verticale al centro della Terra travolse i due amanti imbrattati nella pozzanghera del disonore. L’amore malato dette al mondo un figlio, poi un altro, un maschio e una femmina nati fuori da un matrimonio pulito che garantiva un riverbero d’amore sordo e cieco. A migliaia, ma troppo pochi furono i baci della luna alla staffetta compiacente del sole.

Quando Violeta guarì dai tumulti della passione le fu utile ricongiungersi al suo spirito femminile dinamico e indipendente, assai raro per i canoni dell’epoca, ma comunque propositivo del recupero delle buone regole. Ci volle del tempo, e quello che le si propose davanti agli occhi fu dannatamente avvinghiato all’albero della mela malata di peccato.

La redenzione acconsentì una lenta lacerazione che giorno dopo giorno violentò il ritmo del respiro. Questo pellegrinaggio senza croce, oggi Violeta lo racconta al nipote Camilo attraverso lettere in ordine cronologico che hanno convocato in centinaia di righe una storia del XX secolo meritevole di un legittimo erede.

Ci sono crocevia del destino che non possiamo riconoscere nel momento in cui li attraversiamo, ma se si vive abbastanza a lungo, come è capitato a me, li si riesce a distinguere con nitidezza. Lì dove si incrociano o si biforcano le strade dobbiamo decidere la direzione d prendere. Quella scelta può determinare il corso della nostra vita“. Non c’è menzione esplicita del paese latino americano che ha offerto ospitalità al vissuto di Violeta.

È indubbio che sia una Terra colonizzata dal regime dittatoriale fautore di guerre interne e quindi di inevitabili crisi economiche. Lo tsunami passionale di Violeta si quieta nella seconda parte del romanzo. È tempo del raccolto, figlio del seme diventato un tutt’uno con la Terra. Il risveglio della consapevolezza riconosce le colpe sanguisughe che hanno deturpato l’essenza della bellezza femminile, nasce una nuova Violeta che reclama i diritti che un tempo, lei stessa, ha calpestato chinando il capo alla stregoneria dello specchio. I paradossi si liberano dal labirinto dopo aver percorso più e più volte lo stesso itinerario definito al nastro di partenza, prima o poi il boomerang riconosce la strada e con una velocità che a nessuno mai saprà spiegare restituisce il malloppo delle scelte sbagliate.

Il viaggio della vita è fatto di lunghi tratti noiosi, un passo dopo l’altro, giorno dopo giorno, senza che succeda niente di sconvolgente, ma la memoria si forma con gli eventi imprevisti che segnano il percorso. Sono questi che vale la pena narrare“.

A lezione di lutti e di dolori perfino le insane felicità vengono accostate al diritto di veder le proprie piaghe sanate. È il sacro mantra ripetuto in ogni romanzo della scrittrice cilena che dalla morte di Paula, la sua bellissima figlia, è diventata madre del suo dolore vagante in una seconda vita tra le pagine immortali. Mai come in questa somma di giorni ammantati di nero accade che il “qui e ora” venga allungato di un secolo, a danno (o a sostegno) di una lunga vita da cristallizzare in una bolla di vetro insieme ad altre donne di altre epoche che scenderanno dall’altalena dei sentimenti con un libro di memorie in mano per eternare il momento.

sara