Stupro di Palermo, i sei indagati trasferiti dal carcere Pagliarelli: sarebbero stati minacciati da altri detenuti

Stupro di Palermo, i sei indagati trasferiti dal carcere Pagliarelli: sarebbero stati minacciati da altri detenuti

PALERMO – Come era prevedibile, i detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo non hanno gradito la presenza dei sei giovani arrestati con l’accusa di stupro. I nuovi arrivati, a loro dire, sarebbero stati minacciati dagli altri detenuti chiedendo per questo il trasferimento ad altro istituto.

Richiesta accettata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Non sono ancora note le loro destinazioni, ma si pensa che possano essere distribuiti in diverse carceri siciliane.

Minacciate le famiglie degli indagati

Non tardano ad arrivare insulti e minacce nemmeno ai familiari degli indagati, che si sono recati in commissariato per presentare denuncia contro ignoti. I parenti dei presunti stupratori hanno anche esortato la polizia a identificare gli autori dei commenti e soprattutto chi si nasconde dietro i profili fake dei denunciati.

Il video dello stupro “non deve essere condiviso”

Il video con cui è stato ripreso lo stupro della 19enne, violentata nelle scorse settimana a Palermo, non deve in alcun modo essere condiviso. È stato molto chiaro su questo il Garante privacy che ha messo in guardia sulle conseguenze, anche penali, a cui si andrebbe incontro.

Diffondere dati personali della vittima oppure il filmato della notte del 7 luglio, significherebbe violare il diritto alla riservatezza della ragazza. Fare chiarezza sull’importanza di non condividere questi contenuti è apparso necessario alla luce dei numerosi utenti che si sono mostrati interessati a riceverlo. Proprio su Telegram, infatti, sono state create ultimamente delle chat in cui si attende che chi ne è in possesso condivida il video con cui è stata ripresa la violenza subita dalla giovane.

La condivisioni di video e informazioni sulla ragazza rischierebbe di rendere pubblica la sua identità, mettendo a repentaglio quindi il suo inviolabile diritto alla privacy. Per questa ragione l’autorità richiama l’attenzione sul fatto che la divulgazione e la condivisione del video rappresentano una violazione delle leggi sulla privacy, comportando possibili conseguenze legali. Sottolinea anche la natura penale dell’atto di diffondere informazioni personali riguardanti individui vittime di reati sessuali, ai sensi dell’articolo 734-bis del codice penale.

Petizione da 45mila firme per punizioni più severe

A seguito della scarcerazione del più piccolo dei sette indagati, è stato dato il via a una petizione che ha già raggiunto 45mila firme. A lanciarla su Change.org è stato Damiano D’Andrea che, con lo slogan “si scrive donna, si legge vita”, chiede condanne esemplari per chi commette violenza contro le donne.

Sono stati arrestati, sì, ma la storia ci insegna che questi episodi, come quelli di cronaca nera riguardanti i femminicidi recenti, per non parlare poi delle denunce di stalking a cui la procura ormai risponde che non ci sono basi per poter disporre di misure cautelari, sono fin troppo sottovalutati e molto spesso vedono applicate pene a dir poco ridicole“, ha scrutto Damiano nel suo appello. “È ora di dire basta“, si legge.

Sono le persone a compiere questi gesti brutali, si, ma è il silenzio ad uccidere. Mi appello a tutte quelle donne, quegli uomini, quei giovani che si sentono nel giusto, che la mattina appena svegli vedono in una madre, in una sorella, in una qualsiasi persona che sia, un punto di riferimento“.

È ora di mostrare al mondo cosa può fare la voce di molti, chiedere tutti insieme pene esemplari per chiunque abusi, maltratti, sia colpevole di stalking e tutti quei comportamenti nocivi per la stabilità di una donna, perché mentre scrivo di getto questa petizione dietro a un pc non posso fare a meno di pensare a quella ragazza che ora si sveglia nel suo letto, segnata a vita da bestie così: tutti hanno diritto alla vita e tutti hanno diritto alla giustizia“.