Cassazione: il padre separato che persegue ed assilla la figlia va condannato per stalking

Cassazione: il padre separato che persegue ed assilla la figlia va condannato per stalking

Il padre separato che persegue la figlia, facendosi trovare ad ogni evento sportivo o conviviale dalla stessa frequentato, è colpevole del reato di stalking. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, con sentenza n. 2512/2021, con la quale ha confermato la condanna dell’uomo per il reato di atti persecutori a causa del suo atteggiamento assillante nei confronti della ragazza.

Vicenda 

In primo grado l’uomo, separato dalla moglie, veniva condannato per il reato di stalking ex art 612-bis c.p. e al risarcimento dei danni pari a 20.000 euro in favore della figlia. Lo stesso, infatti, non seguendo i consigli dei consulenti, si era fatto trovare più volte e senza avvisare ad eventi di natura conviviale o sportiva a cui partecipava la ragazza. Avendo un rapporto pressocché inesistente con la stessa, era il suo modo per ricucirlo.

La decisione del Tribunale di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello.

Ricorso in Cassazione

Il padre ricorreva, dunque, in Cassazione esponendo, tra gli altri, i seguenti motivi:

  • in primo luogo, secondo il ricorrente, la Corte d’appello aveva valutato erroneamente le prove testimoniali, in quanto:
  1. La deposizione della parte civile era stata caratterizzata da contraddizioni, inesattezze e falsità;
  2. La deposizione dell’ex moglie, madre della ragazza, si basava su quanto riferito da quest’ultima ed era stata condizionata dal rapporto conflittuale con l’ex marito;
  3. Sono state trascurate le valutazioni del consulente di parte quanto all’incapacità della persona offesa di testimoniare ed all’esistenza di condotte di alienazione parentale da parte della madre;
  4. La Corte non ha considerato che le condotte dell’uomo erano state dettate da un rapporto pressocché inesistente con la figlia;
  5. Non può ritenersi sussistente un danno in quanto, come testimoniato dalla figlia, la stessa non ha cambiato le sue abitudini di vita, elemento necessario perché si configuri il reato di stalking.
  • con il secondo motivo il ricorrente ritiene non sussistente l’elemento soggettivo del reato in quanto la ragazza era solo infastidita dalle visite del padre. Le condotte di quest’ultimo erano state dettate dall’esigenza di vederla, visto che la frequentava molto poco a causa del rapporto conflittuale con l’ex moglie.
  • con il terzo motivo contesta la motivazione della Corte circa l’idoneità delle proprie condotte a generare sulla figlia stati di ansia e di paura al punto da costringerla a mutare le sue abitudini di vita. L’atteggiamento assunto nell’avvicinarsi alla figlia non era aggressivo, ma dettato solo dal desiderio di conservare un rapporto con la stessa.

Decisione: il padre persegue la figlia? Colpevole di stalking

La Cassazione rigetta il ricorso in quanto manifestamente infondato. I motivi vengono analizzati congiuntamente in quanto strettamente connessi.

Gli Ermellini ribadiscono quanto affermato dalla Corte d’appello, che aveva concluso per l’inadeguatezza dei metodi di approccio del padre nei confronti della figlia: “modalità disturbanti e persecutorie, caratterizzate da una tale ripetitività e assenza d’interesse per gli stati d’animo della figlia (si pensi alle irruzioni nelle occasioni conviviali o sportive coinvolgenti quest’ultima) da generare un evidente turbamento di quest’ultima”.

La ragazza, in sede testimoniale, aveva inoltre confermato “sentimenti di vergogna e di estremo imbarazzo, ma anche di paura per l’imprevedibilità del genitore, al quale aveva direttamente rappresentato il disagio che le sue condotte ossessive le provocavano”.

E il padre – spiega la Cassazione – non ha mai compreso che le modalità di approccio adottate erano errate. Inoltre, non è rilevante il fatto che la figlia abbia continuato a praticare attività sportiva e che il suo rendimento scolastico non abbia risentito delle condotte del padre. Infatti, perché si configuri il reato di atti persecutori non occorre che la vittima annulli la sua personalità, ma è sufficiente che cambi le proprie abitudini di vita.

Circa l’elemento soggettivo del reato, la Corte ricorda che il reato di stalking richiede il dolo generico, cioè la volontà di porre in essere più condotte di minaccia o molestia nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi contemplati dalla norma e della loro abitualità, senza una necessaria preordinazione, essendo sufficiente la casualità e occasionalità dei comportamenti persecutori.