Covid, la pronuncia frequente della “p” aumenta la diffusione del virus: lo spiega il logopedista

Covid, la pronuncia frequente della “p” aumenta la diffusione del virus: lo spiega il logopedista

CATANIA – Persino gli aspetti che potrebbero sembrare apparentemente irrilevanti hanno una correlazione con il Covid. Recenti studi hanno dimostrato che persino la fonetica ricopre un ruolo in termini di trasmissibilità del virus.

In particolare, secondo una ricerca pubblicata sull’Irish Journal of Medical Science, la frequenza con cui si usano determinante consonanti è un aspetto da non sottovalutare assolutamente. Nello specifico si punta il dito nei confronti della consonante occlusiva bilabiale sorda “p” che, secondo gli esperti, nel pronunciarla comporterebbe l’emissione di maggiori particelle di saliva.

Sono state analizzate anche altre lettere tra cui la “d”, la “t” e l’occlusiva bilabiale sonora “b”, che vengono usate nelle diverse lingue mondiali con una frequenza che varia dal 60 all80%. Tuttavia non sembrano esserci prove certe di una correlazione tra queste consonanti e la diffusione del virus, a differenza della “p” che invece è a questo punto l’unica incriminata.

I giapponesi, proprio per questa osservazione, sarebbero meno esposti al rischio di contrarre il Covid poiché il loro modo di pronunciare le consonanti comporta una minore emissione di aria e dunque di particelle di saliva, che sono il vettore del contagio. Ma non solo, in genere coloro che vivono in Giappone tendono a pronunciare con meno frequenza le consonanti aspirate.

L’intervista al logopedista

Ma per capire meglio di cosa si tratta e quali sono i rischi che si possono correre, è intervenuto ai nostri microfoni il logopedista catanese Andrea La Piana.

Come si può spiegare questo fenomeno?

“Avevo già letto su internet questa notizia. La spiegazione sta appunto nella fonetica delle lettere ‘incriminate’. Stiamo parlando infatti di fonemi occlusivi. Nello specifico il fonema di cui si è discusso di più è il fonema /p/ ovvero un fonema occlusivo bilabiale, per cui la dinamica articolatoria della /p/ prevede che tutta l’aria accumulata nel cavo orale venga emessa in toto durante la pronuncia della stessa, con conseguente maggiore fuoriuscita di goccioline di saliva dalla bocca. Per questo motivo si pensa che una maggiore frequenza d’uso di tale fonema possa aumentare la possibilità di contagio da Covid”.

Ci sono altri casi studio dello stesso genere emersi nell’ultimo periodo?

“Che io sappia non sono stati effettuati ancora numerosi studi scientifici volti a confermare l’aumento di contagio da Covid in popolazioni che utilizzano più spesso nel vocabolario il fonema /p/”.

Dunque, parlare è pericoloso tanto quanto tossire?

“Per rispondere a questa domanda avremmo bisogno del supporto di un medico, in particolare di un virologo e di un foniatra. Io in quanto logopedista e quindi tecnico di riabilitazione, posso semplicemente dedurre, basandomi su quelle che sono le mie conoscenze del caso, che la tosse e/o lo starnuto hanno sicuramente una ‘spinta d’aria’ fuori dalla bocca di forza maggiore rispetto alla pronuncia del fonema /p/, con conseguente fuoriuscita di gran quantità di goccioline di saliva. Motivo per cui credo che il colpo di tosse e lo starnuto rimangano le modalità di contagio più pericolose“.

Il Covid ha intaccato in qualche modo anche gli “aspetti del parlato”? Ci sono soggetti che hanno subìto conseguenze sotto il profilo comunicativo?

“Ho letto numerosi articoli che parlano delle conseguenze a lungo termine dei soggetti che hanno contratto il Covid. Sono state segnalate, anche se in piccola proporzione, persone che hanno sviluppato deficit neurologici a seguito della malattia e per questo hanno dovuto affrontare una riabilitazione logopedica. In questi soggetti infatti il virus ha recato danni alle aree encefaliche deputate a memoria e linguaggio, andando a intaccare le capacità di espressione linguistica degli stessi, in quadro clinico assimilabile a quello dell’afasia. Ho letto di altri soggetti che invece hanno sviluppato un deficit nelle aree motorie, problematica identificabile con la disartria“.

Fonte foto: Mashable Italia