La mafia è in tavola: oltre 5.000 ristoranti sono di Cosa Nostra

La mafia è in tavola: oltre 5.000 ristoranti sono di Cosa Nostra

PALERMO – L’ultimo rapporto Agromafie inquadra una situazione particolarmente inquinata dall’olezzo della mafia nel settore della ristorazione.

Ci sono circa 5 mila ristoranti in odor di mafia frutto dei capitali provenienti dagli affari illeciti e specie in un periodo di forte crisi come quello attuale la liquidità delle attività “mafiose” stronca nettamente la concorrenza.

Secondo il rapporto Agromafie una delle ultime tendenze è l’apertura dei franchising in giro per il mondo. Le diverse mafie, però, hanno investito in settori specifici: Cosa Nostra si è instillata nelle aziende agricole e nella distribuzione alimentare, mentre la camorra è più attiva sul fronte delle attività commerciali come ristoranti, alberghi e bar.

Si parla di un giro d’affari imponente di oltre 15,4 milioni di euro e la stima è di oltre 5 mila ristoranti controllati direttamente dalla criminalità organizzata.

“Fare affari – spiega il rapporto –  con esponenti delle organizzazioni mafiose viene spesso considerato normale, inevitabile se si vuole sopravvivere”.

Così la mafia riesce a distruggere la concorrenza, creare posti di lavoro e quindi consenso, farsi usuraia nei confronti degli imprenditori in difficoltà e riciclare denaro sporco. Una vittoria totale su tutti i fronti.

Non ci sono più, come accadeva un tempo, le differenze geografiche tra mezzogiorno e settentrione: le attività mafiose prosperano ovunque. Secondo il rapporto, “produzione, distribuzione, vendita sono sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale, esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica”.

“Molti tra coloro che dispongono di liquidità – conclude la rilevazione – prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, trovano convenienti e pertanto decidono di perseguire forme di investimento non ortodosso, con l’obiettivo del massimo vantaggio possibile affidandosi a soggetti borderline o ad organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza”.

Foto Flickr M.Raffin cc license