Il bisogno di perfezione e le pressioni dei genitori, in uno studio il “dramma” utopistico dei giovani

Il bisogno di perfezione e le pressioni dei genitori, in uno studio il “dramma” utopistico dei giovani

Qualcuno, tempo fa, li aveva definiti “choosy“. Altri, invece, avevano preferito utilizzare il termine “bamboccioni” per qualificarli. In base ad alcuni recenti studi, però, sarebbe più opportuno etichettarli come “perfezionisti“. Parliamo dei giovani, sempre più esposti a giudizi affrettati e vittime di una società che non sembra preoccuparsi mai abbastanza di loro.

Secondo un’indagine pubblicata dall’American Psychological Association, associazione degli psicologi statunitensi, nel corso degli ultimi decenni la tendenza del perfezionismo si sarebbe diffusa a macchia d’olio tra gli esseri umani, toccando vette sempre più alte a partire dal 1989.

Lo studio è stato eseguito su un campione di diverse migliaia di persone e ha portato a conclusioni decisamente interessanti. Sebbene il perfezionismo colpisca “democraticamente” uomini e donne senza particolari disparità di genere, pare invece che i nati negli ultimi anni siano i soggetti maggiormente esposti al fenomeno. E tutto questo ha aspetti sia positivi che negativi.

In primis, infatti, va specificato che i cosiddetti “Millennials” o, se preferite, gli esponenti della “Generazione Y“, vale a dire i nati tra gli anni ’80 e ’90, lotterebbero con maggiore vigore rispetto alle generazioni precedenti per riuscire nell’impresa di realizzare i propri obiettivi professionali. Una forza di volontà decisamente più forte in un’epoca dove, nonostante i progressi tecnologici e il crescente benessere, rimane ancora difficile esprimersi.

Dall’altro lato, però, questa grande determinazione sembrerebbe fare da contraltare a un crescente desiderio di perfezione. Tutto questo, tuttavia, non deve essere letto come un sinonimo di vanità. Questa spinta al perfezionismo sembrerebbe essere infatti giustificata dalla richiesta sempre maggiore di competenze e specializzazioni per riuscire a inserirsi nel mondo del lavoro. Una “corsa” che inizia già in età scolastica e che prosegue anche durante gli studi universitari e oltre.

In quest’ottica un ascendente di un certo rilievo sembrerebbero averlo i genitori dei ragazzi, che stressano i propri figli caricandoli di aspettative ed esercitando su di loro un controllo eccessivo. Addirittura, secondo gli esperti, i risultati conseguiti nel tempo assumerebbero un’importanza maggiore rispetto ad altre qualità.

Ovviamente, in questo contesto, la sperimentazione del fallimento non viene vista come una fase transitoria bensì come una brutale macchia capace di condizionare in negativo il loro percorso di crescita. Da non sottovalutare, poi, i modelli “utopistici” che vengono veicolati attraverso i social network come Facebook e Instagram dove tutto viene rappresentato senza sbavature. Il “terrore” di incappare in un passo falso si tramuta in ansia, depressione, isolamento e, in alcuni casi, pensieri suicidi.