Troppi suicidi in Italia? Le statistiche ci aiutano a comprendere il fenomeno

Troppi suicidi in Italia? Le statistiche ci aiutano a comprendere il fenomeno

Molto spesso, al giorno d’oggi, ci capita di sentir parlare di suicidio. Sfogliando un giornale, guardando un servizio in tv o navigando su Internet, ci è possibile entrare in contatto con questo particolare evento. Venire a sapere di un individuo – conoscente od estraneo che sia – che ha deciso di “farla finita” ci riempie immediatamente di angoscia e tristezza.

Davanti a casi come questi ci domandiamo inoltre come possa essere possibile arrivare ad un gesto tanto estremo quanto eclatante. Immaginiamo tutte le cause che possono incidere inequivocabilmente sull’atto, prendendocela nella maggior parte dei casi con la società odierna, incapace di intervenire prima dell’inevitabile.

Nell’antico Giappone, il suicidio – che veniva praticato attraverso il rituale del seppuku, meglio noto alle nostre latitudini con il termine harakiri – era il gesto messo in atto dai samurai come forma massima di espiazione per le proprie colpe o per sfuggire alla morte tramite mano nemica, evitando così il disonore. Secondo la nostra concezione, il suicidio viene strettamente connesso al fallimento personale, ad una malattia e alla disperazione per la perdita del proprio lavoro.

In ogni caso, pensiamo che il suicidio interessi sempre più persone al mondo. Sono tante, troppe le volte che lo sentiamo ripetere. Ma è davvero così? Prendiamo come esempio principale il nostro Paese. Secondo uno studio presentato dall’Istat, comprendente il triennio 2011-2013, in Italia sono stati registrati 12.877 decessi per suicidio. La maggior parte del fenomeno riguarda gli uomini, con 10.065 casi segnalati. Per le donne si parla invece di 2.812 decessi.

In questa statistica emerge, comunque, un dato importante. A differenza di quanto ci si possa attendere, il suicidio di una persona non è strettamente legato ad un malanno, fisico o mentale che sia. Nel periodo di interesse, appena il 19% viene associato ad uno stato morboso rilevante. Nel restante 81% le vittime non sono affette da patologie particolari.

Il luogo preferito dove compiere il suicidio rimane la casa, ovvero nel 57% circa dei casi presi in esame. Una tendenza che rimane costante specialmente nelle aree geografiche del Nord e del Centro Italia. Gli individui maggiormente esposte al fenomeno suicidario sono quelli compresi tra le fasce d’età dei 35-64 anni e gli over 65.

Tra le modalità scelte per compiere l’estremo gesto figurano, sempre secondo il campione esaminato ed in presenza di uno stato di malattia fisica, l’avvelenamento, il ricorso ad un’arma da fuoco o ad oggetti contundenti. In presenza di una malattia mentale, invece, le vittime sono maggiormente “attratte” da una morte provocata per asfissia traumatica, come soffocamento, impiccamento o annegamento.

A fronte di questi dati, tuttavia, va detto che l’Italia non rientra nei Paesi con i tassi di suicidio più alti al mondo. Secondo l’Ocse, addirittura, il nostro Paese registra una delle percentuali più basse. Si è passati, infatti, dagli 8,0 decessi ogni centomila abitanti nell’anno 1993, ai 4,7 del 2012.

È preoccupante, invece, il dato registrato in alcune regioni dell’Asia. Secondo le indagini dell’Oms, Cina, Russia, India, Corea del Sud e Giappone sono tra i Paesi maggiormente interessati dal fenomeno dei suicidi, dove si parla addirittura di 15,0 decessi ogni centomila abitanti. A prescindere da questi numeri, tuttavia, va ricordato che tanto resta comunque da fare nel nostro Paese con lo scopo di ridurre il fenomeno ed evitare l’ennesima morte prematura di una persona in difficoltà.