Oggi il 735° anniversario della rivoluzione del Vespro

Oggi il 735° anniversario della rivoluzione del Vespro

PALERMO – Oggi ricorre il 735° anniversario della rivoluzione del Vespro. A molti piace ricordarlo ed è giusto parlarne, anche per le nuove generazioni che non ne conoscono nemmeno i cenni storici, ed anche per capire perché i siciliani, da molti secoli, hanno difeso e continuano a difendere la propria identità e dignità.

Nel giugno del 1265 Carlo d’Angiò venne in Italia con un modesto esercito al seguito, per essere sentito dal papa e il giorno dell’ epifania del 1266 venne incoronato re. Con il suo esercito, l’angioino sconfisse definitivamente il Manfredi a Benevento, dove questi trovò la morte e la stessa Chiesa di Roma gli negò una sepoltura; il suo corpo venne buttato dal ponte, lungo il fiume di Benevento.

L’ impatto degli angioini con i siciliani fu ostile sin dall’inizio, tanto che Fulcone di Puy-Richard, reggente del re Carlo, all’atto degli insediamenti francesi, dovette indietreggiare fino a Messina e non gli permisero di andare oltre. Le lotte durarono anni, ma i francesi riuscirono ad imporsi con fermezza nell’Isola. Il re angioino lasciò decidere ai suoi ministri quanto dovessero pagare i sudditi, intimando ancora altre tasse per mantenere truppe mercenarie oltre all’esercito regolare. La somma ammontò ad once 60.170 pari a più di tre milioni di franchi. Dalla Sicilia soltanto, si traevano più del doppio delle tasse riscosse (15.000 once) in altre regioni dello Stivale ricadenti nel regno di Carlo d’Angiò come l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata e la Puglia.

La popolazione siciliana venne ridotta alla fame e oltre alle angherie dovette subire la violenza e le carcerazioni, la sottrazione del bene primario come il cibo e le suppellettili domestiche. Un danno altrettanto grave fu provocato dalla speculazione dovuta al conio di due monete differenti: una coniata a Napoli, chiamata carlino d’oro e mezzo carlino d’oro in onore al nome del re, l’altra coniata a Messina e a Brindisi, del valore molto più basso perché in rame con qualche granello d’argento. Ovvio che al cambio il monarca ci speculava l’ottanta per cento del valore.

L’ondata di regressione nell’Isola durò sedici anni e fece sprofondare la Sicilia nella povertà più nera. La rivolta del Vespro esplose a Palermo la domenica di Pasqua del 30 marzo del 1282. La chiesa di Santo Spirito, appartenente al monastero dei Cistercensi, quel giorno ospitava la funzione religiosa del Cristo risorto e come dice Michele Amari nel suo libro “ …Onde, chi pacatamente ammonilli se n’andarano con Dio senza far villania alle donne, e chi brontolò; ma i rissosi giovani la voce sì fieri, che i sergenti dicean tra loro: armati son questi paterini ribaldi, poiché osan rispondere; e però rimbeccarono ai nostri più atroci ingiurie; vollero per dispetto frugarli in dosso se portasser arme, altri diede con bastoni o nerbi ad alcun cittadino. Già d’ambo i lati battean forte i cuori. In questo una giovane di rara bellezza, di nobil portamento e modesto, con lo sposo, coi congiunti avviavasi al tempio. Droetto francese, per onta o licenza, a lei si fa come a richiedere d’armi nascose, e le dà di piglio; le cerca il petto. Svenuta cadde in braccio allo sposo; lo sposo soffocato di rabbia oh muoiano – urlò – muoiano una volta questi Francesi! Ed ecco dalla folla che già traea, s’avventa un giovane; afferra Droetto; il disarma; il trafigge; probabile è ch’ei medesimo cadesse ucciso al momento, restando ignoto il suo nome e l’essere, e se il movesse amor dell’ingiuriata donna, impeto di nobil animo, o altissimo pensiero di dar via al riscatto…”.

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E da lì la scintilla che provocò la più sanguinosa rivoluzione siciliana, narrata da tutti gli storici del mondo. I nobili, i militari, i funzionari francesi arrivati in Sicilia al seguito degli Angioini, furono spazzati via dalla rivolta del Vespro. Furono migliaia i morti trucidati dai siciliani in preda ad una rabbia che non ebbe pari nella nostra terra. Il Castello di Ibla, che Matteo Chiaramonte Conte di Modica e Signore di Ragusa aveva fatto costruire sotto il regno di Federico II, contava quattro torri e quattro porte prima di essere distrutto dal terremoto del 1693, e in una delle quattro porte stava sopra una pietra scolpita che raffigurava la testa di un bue con un corno mozzato, a testimonianza della vendetta di Manfredi, Chiaramonte contro Carlo d’Angiò. “Per ingiuria d’onore, si sirrau ’n cornu!” é la frase tipica siciliana che sta ad indicare un atto di vendetta per un sopruso o un affronto subìto.

Non possiamo fare a meno di ricordare quando Andrea Finocchiaro Aprile scrive alle grandi potenze mondiali, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica, Cina ed altre trentasette, riunite per i lavori della Conferenza di San Francisco dopo la vittoria della II guerra mondiale. La missiva con la data del 21 marzo del 1945, 663° anniversario del Vespro Siciliano, intendeva porre all’attenzione delle grandi potenze mondiali riunite le sorti dell’Italia. “Pasqua 1282. Salutiamo con gioia l’anniversario dell’avvenimento che è impresso con caratteri indelebili nel cuore di tutti i Siciliani. Esso è al tempo stesso speranza e monito per quanti hanno un culto per le glorie della patria siciliana e soprattutto per la libertà. Storicamente il vespro confermò a tutte le genti la fierezza e l’ardimento di un popolo generoso che aveva già scritto pagine eterne di civiltà e di saggezza e che s’era posto all’avanguardia nel pensiero e nell’azione di tutte le epoche. Politicamente il vespro riaffermò per la prima volta nel medio evo, di fronte agli occhi attoniti del mondo intero, il prepotente desiderio di libertà e la insofferenza di ogni vessazione e di ogni sopruso…”.

L’azione rivoluzionaria nei confronti degli angioini si diramò in tutta l’Isola al grido “Morte ai Francesi! Antudo”. Ed il vespro sin da allora diventò il simbolo del riscatto di libertà del popolo siciliano.

Oggi, cosa cambia? Mentre l’Italia del Nord riesce ad uscire dalla lunga crisi finanziaria, il Meridione e maggiormente la Sicilia “nun viri lustru!”. Con il governo Italiano di turno che in tempi di elezioni tira fuori dal cilindro, da più di cinquant’anni, la promessa del “Ponte sullo Stretto” e miliardi di investimenti, per farci sentire italiani, per poi rimangiarsi il tutto sistematicamente dopo 10 minuti, e con gli ascari del governo siciliano che bovinamente fanno da pecoroni a perseguire i comandi di Roma, ci rimane soltanto di celebrare con grande amore, trasporto e nostalgia, l’eroico evento dei Vespri Siciliani. Antudo!!!

Giuseppe Firrincieli