Bullismo: una vittima si racconta

Bullismo: una vittima si racconta

CATANIA – Il bullismo è una forma di comportamento sociale violento che mira alla denigrazione. Può essere sia di natura psicologica che fisica.

Le conseguenze che ne derivano sono devastanti per chi subisce, molti sono i casi registrati di ragazzi che a causa di ciò hanno trovato come unica soluzione il suicidio. La maggior parte delle volte però l’individuo viene seguito da psicologi con i quali affronta una terapia lunga e difficile.

Il bullismo ti segna a vita, molti ne fanno esperienza, altri ne rimangono così traumatizzati da sentirsi costantemente fuori luogo nei diversi ambiti sociali.

Le vittime sono spesso soggetti insicuri, ansiosi, timidi ed introversi; i bulli invece hanno quasi sempre l’appoggio di qualcun altro con il quale poi sopprimono i ragazzi presi di mira.

Diversi sono i campanelli d’allarme per le famiglie: l’ansia di andare a scuola, problemi legati alla concentrazione, isolamento sociale, insonnia, presenza di lividi, graffi o ferite su alcune parti del corpo, stati d’animo negativi con conseguente depressione, attacchi d’ira insoliti ed ingiustificati.

Molti sono i casi e altrettante le testimonianze, una fra tutte quella di un ragazzo (che per convenzione chiameremo Luca) che ci parla in totale anonimato.

“Tutto è iniziato alle superiori, i miei compagni mi prendevano in giro, non ero un bel ragazzo, ero esile, basso. Mi piaceva studiare, stare insieme agli altri, uscire e divertirmi… insomma vivevo a pieno la mia età”.

Un giorno però la sua vita è cambiata. “Arrivato in classe, mi accorgo della presenza di un nuovo compagno (che per convenzione chiameremo Fabio). Si è subito integrato con gli altri ed anche io ho fatto di tutto per accoglierlo al meglio. Nel corso dei mesi però i miei amici si sono sempre più allontanati, durante le lezioni sentivo risate di sottofondo, sguardi inquisitori anche se inizialmente non ne capivo il perché. Ero bravo ed ho iniziato a notare in Fabio una certa rivalità nei miei confronti. Spesso lo vedevo di nascosto guardare i voti che prendevo; lo faceva nei momenti in cui era assente la professoressa. Gli ho chiesto il motivo una volta, mi rispose dicendomi che non rappresentavo nessuno e che ciò che ero era tutto dovuto alle lauree dei miei genitori; credeva mi facessero loro i compiti”.

Ci racconta di aver passato numerose notti insonni, non si spiegava il motivo di tale odio ma nonostante ciò andava avanti nell’attesa che finisse tutto così com’era iniziato.

“Le cose sono cambiate quando uscendo da scuola, Fabio mi ha spinto giù per le scale; fortunatamente avevo lo zaino in spalla, senza sarei incorso in gravi problemi. Mi aspettava alla ricreazione nella piazzetta dove eravamo soliti fumare, lì mi malmenava”.

Poi la svolta: “Ho segnalato tutto al dirigente scolastico ed ho avuto il coraggio di parlare con i miei genitori di ciò che stavo vivendo”.

Luca non ha mai pianto ma viveva nella vergogna di raccontare la sua storia. Oggi parlandone apertamente porta con sé solo un brutto ricordo che, nel suo caso, lo ha fortificato.

Ciò che vuole è far aprire gli occhi alla gente, si rivolge soprattutto ai genitori: “State attenti ad ogni comportamento dei vostri figli, spesso dietro si cela ben altro, fermate tutto in tempo”.

Ai ragazzi dice invece: “Parlate”.