CATANIA – L’accusa al programma televisivo Le Iene è quella di aver riferito fatti non veri “offendendo la reputazione della Polizia di Stato” riguardo al caso della morte dell’ispettore Filippo Raciti.
Sembrerebbe che durante un’intervista del giornalista Ismaele La Vardera a una donna di 44 anni e a un uomo di 42 anni, “testimoni” dell’accaduto e presenti al funerale dell’uomo, sarebbe stata sostenuta la tesi del “fuoco amico”, secondo cui l’ispettore sarebbe stato ferito mortalmente da una Range Rover della Polizia. L’idea sarebbe stata che Antonino Speziale fosse solo un capro espiatorio utile a coprire i veri autori del delitto.
Questa tesi, però, sarebbe già stata affrontata nei vari processi e smentita da tre gradi di giudizio, dunque sarebbe stata avviata un’inchiesta dopo la querela presentata dal capo della Polizia dopo la messa in onda, il 12 novembre del 2020, delle interviste durante il programma Le Iene.
I due attori che hanno interpretato i testimoni avrebbero anche sostenuto tesi che vedono uno scambio di scuse tra un poliziotto e il padre di Raciti, che avrebbe dunque perso il figlio per una “manovra sbagliata di un collega”. Nazareno Raciti, sentito dalla Procura, ha smentito tutte queste ricostruzioni.
Per la morte di Raciti sono stati condannati per omicidio preterintenzionale a 8 anni e 8 mesi Antonino Speziale, all’epoca dei fatti minorenni e che ha finito di scontare la pena il 15 dicembre 2020, e a 11 anni Daniele Natale Micale, 33 anni, che è tornato in semilibertà poco prima di Natale del 2018 ed ha un residuo pena di meno di 2 anni.
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