CATANIA – Pronunciare il nome di Federico II di Svevia a Catania significa essere immediatamente indirizzati all’omonima piazza presente nel quartiere “Angeli Custodi”, dove sorge il monumentale Castello Ursino, noto per la sua storia secolare e i suoi misteri irrisolti.
Federico Ruggero di Hohenstaufen, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, mantenne un legame molto stretto e allo stesso tempo problematico con la città dell’elefante, nella quale sono ancora evidenti i segni del suo Regno.
Il sovrano, nato il 26 dicembre 1194 a Jesi dall’imperatore Enrico VI di Svevia e da Costanza d’Altavilla, dominò sul mondo allora conosciuto grazie alla sua cultura invidiabile, la conoscenza di diverse lingue e la sua eterna opposizione al Papato.
Sulla sua figura si annidano ancor oggi opinioni contrastanti. In Puglia, per esempio, viene ricordato con l’appellativo di “puer apuliae” (“il fanciullo di Puglia“) per la fioritura, sotto la sua corona, di arti e meravigliose opere architettoniche, mentre in Sicilia continuano a venirgli contestati non pochi atti di terrore.
Il lato oscuro di Federico II
Lo “Stupor Mundi” – così è conosciuto universalmente Federico II – soggiornò per diversi anni alle pendici dell’Etna, facendo spola con Palermo, ed era solito soffocare le rivolte nel sangue e con frequenti saccheggi. Inoltre, decideva di erigere numerosi castelli nei territori posseduti, non solo per celebrare la propria forza ma, soprattutto, per porre dei moniti inequivocabili agli occhi dei sudditi. Tuttavia, per egli non fu facile tenere al gioco i cittadini etnei.
Nel 1232, tra gli anni più complessi della reggenza di Federico II in Sicilia, la città di Catania si era da poco ripresa dal funesto terremoto del 1169 che aveva messo in ginocchio il capoluogo etneo, provocando migliaia di vittime tra la popolazione. Qualche anno prima, Enrico VI aveva brutalmente massacrato quei catanesi che, insieme ad altri popoli dell’Italia meridionale, erano insorti contro la dinastia Hohenstaufen.
In tanti vennero deportati in Germania mentre altri furono arsi vivi all’interno della Cattedrale di Sant’Agata, data alle fiamme insieme ad altri edifici della città. Non fiaccati da quel castigo, gli abitanti di Catania insorsero nuovamente e vennero puniti ancora, stavolta per mano di Federico II.
“Nopaquie”
Abbiamo nominato Sant’Agata ed è proprio in questo momento che nel nostro racconto entra in gioco la Patrona di Catania. Secondo la leggenda il 5 febbraio 1232, 981° anniversario del martirio di Sant’Agata, Federico II avrebbe partecipato al sommo Pontificale in onore della martire etnea.
Alla celebrazione sarebbero stati presenti anche numerosi cittadini catanesi, i quali avrebbero richiesto di poter partecipare alla funzione religiosa prima di essere sterminati in coincidenza della nuova distruzione della città per editto federiciano.
Durante la celebrazione, l’imperatore aprì un messale e vide apparire sulle sue pagine l’acrostico “NOPAQUIE”, il cui significato sarebbe “Noli offendere patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est” (“Non offendere la patria di Agata, poiché è vendicatrice delle offese“). L’episodio turbò profondamente Federico, il quale preferì risparmiare la vita agli insorti.
Gli ammonimenti di Federico II
Tuttavia, come da sua abitudine decise di disseminare per la città simboli e ammonimenti che dovevano indurre i catanesi alla sottomissione. Fece costruire proprio quel Castello Ursino di cui vi abbiamo parlato in precedenza, collocando all’interno di una nicchia posta sulla facciata settentrionale un’aquila sveva nell’intento di ghermire un animale inerme.
Un altro segno del potere tirannico di Federico è rappresentato sul portale della chiesa di Sant’Agata al Carcere, adornato dalle figure grottesche poste sulle colonne ai lati. Infine, il monarca fece radere al suolo tutti i piani superiori delle case.
Fonte foto: as-cinema.com