Come 4.500 Torri di Pisa, è il peso dei cosiddetti rifiuti elettronici, detti ewaste. In altri termini 44,7 milioni di tonnellate tra computer, tablet, cellulari, ma anche frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici e macchine per il caffè. Tutti oggetti del valore di 55 miliardi di dollari che, ogni anno, invece di essere riciclati vengono gettati via come spazzatura. Almeno queste sono le cifre diffuse dal rapporto Global Ewaste Monitor 2017 dell’ITU, l’Unione internazionale delle telecomunicazioni che, insieme all’Università delle Nazioni Unite (UNU) e all’International Solid Waste Association (ISWA), si è occupata di calcolare, per ogni Paese, il tasso di risorse sprecate relativo al comparto hi-tech.
Come riportato anche in un articolo de “La Repubblica”, i maggiori spreconi sarebbero gli abitanti di Australia, Nuova Zelanda e altre isole dell’Oceania con 17,3 chilogrammi di rifiuti pro capite. A seguire Europa, Russia con 16,6 a testa ed Americhe con 11,6 chilogrammi per persona. All’ultimo posto Asia e Africa, rispettivamente, con 4,2 la prima e 1,9 la seconda.
Secondo le proiezioni, entro il 2020 lo scenario peggiorerà con un aumento del 4% di ewaste di piccole e medie dimensioni e del 2% per l’elettronica di consumo. D’altronde, basti pensare che a fronte di una popolazione di 7,4 miliardi di persone, attualmente, si contano 7,7 miliardi di SIM; dati sconcertanti, specialmente per ciò che riguarda l’impatto ambientale, se si considerano i dispositivi mobili ad esse associati.
Una soluzione, in conclusione, potrebbe essere costitutiva dall’adozione di un caricabatterie unico, progetto al quale sta lavorando l’ITU e che spera di presentare entro il 2024.