A parere del giornalista Andrea Coccia di Linkiesta, i messaggi vocali sarebbero «i selfie della comunicazione, disfunzionali, ridicoli e arroganti», ma cosa sono di preciso e perché si sono diffusi? Tutto è cominciato negli anni ‘40, quando vennero inventati i walkie-talkie durante la Seconda Guerra Mondiale. Tali dispositivi, derivati a loro volta dalle radio, permettevano di mandare messaggi audio monodirezionali, principalmente per impartire ordini. Oggi inviamo messaggi audio con gli smartphone tramite la Rete. Secondo la tesi di Coccia, tuttavia, la dinamica superiore-subalterno sarebbe sopravvissuta anche nelle odierne note vocali di Messenger, WhatsApp e iMessage. Sì, perché le note, essendo espressione dell’ego in quanto riregistrabili, modulabili, dunque per loro natura autoreferenziali, in primis non consentirebbero di replicare in tempo reale a un eventuale insulto, secondariamente castrerebbero psicologicamente chi le riceve perché ogni azione che comunemente si potrebbe attuare nel corso di una normale conversazione telefonica, risulterebbe invece nulla durante l’ascolto di una registrazione.
Ad avvalorare l’ipotesi di Coccia, una delle storiche frasi del sociologo, filosofo e critico letterario, nonché padre della comunicazione, Marshall McLuhan: «Il medium è il messaggio». Prendendo come punto di riferimento quest’assunto, è impossibile negare, in effetti, che oggigiorno i Millennials (comunemente conosciuti come “Generazione Y”), più dei loro genitori, sappiano destreggersi bene tra gli infiniti modi di comunicare e, quindi, scegliere l’app o il dispositivo che meglio preferiscono per inviare un determinato messaggio o per fare assumere alla conversazione una determinata sfumatura. WhatsApp, senz’altro, regna quale medium prediletto.
Stando alle rilevazioni di marzo 2017, soltanto tramite esso vengono scambiati oltre 200 milioni di note vocali al giorno. Sarà positivo? Difficile dirlo. Secondo Paolo Imperatori di Wuoow Social News, «scegliere di mandare un messaggio vocale al posto di un messaggio scritto, o magari di una mail, è un gesto aggressivo e probabilmente arrogante […] perché presuppone – non lo si può negare – che il mittente non ritenga il destinatario degno del suo tempo, perlomeno non dei pochissimi minuti necessari a comporre un testo scritto».
Inoltre, sempre l’opinione del giornalista, «chi non accetta il dialogo non vuole mettersi allo stesso livello con il proprio interlocutore e preferisce tramutare una chat in una specie di partita a tennis, a colpi di “rimbalzi” e battibecchi». In sostanza, questo il parere di due rappresentanti del quarto potere che, come si è visto, ha bocciato le note audio. Gli altri?
Alberto Molino