Elezioni, se la campagna elettorale si fa in discoteca

A Catania la battaglia politica si consuma anche in luoghi insoliti: le discoteche della città. La musica rimane assordante, le luci sono sempre quelle soffuse della discoteca ma la penombra non nasconde più forme e contorni: nel maxi-schermo la luce bianchissima del manifesto elettorale abbaglia gli astanti. Alcuni non capiscono, e il carattere surreale della scena, accanto all’alcool e alle sostanze psicotrope appena consumate fanno pensare a un’allucinazione. All’improvviso appare anche lui, il candidato, candido di una camicia bianca, le braccia tese, si sistema un bottone, ma non dice nulla. Sorride, guarda la folla silenziosa dall’alto, se ne va: è stata un’epifania. La scena si ripete in diverse discoteche, gli avvistamenti sono molti. Con l’apparizione in una discoteca, il candidato al consiglio comunale di Catania mostra solo il suo cinismo e una visione strumentale dei giovani, visti come una massa inerte alla quale estorcere qualche voto, a cui egli è accomunato solo da una debole analogia anagrafica e generazionale. Mentre pare gridare “Io sono uno di voi”, non parla, anche perché forse non ha nulla da dire, come il suo partito e la sua compagine, che non propongono ancora nessun programma politico, ma producono solo nomi, tutti impegnati come sono in una singolare battaglia fatta di cartelloni elettorali, in cui i nomi dei candidati si estendono per diversi metri senza mostrare altro che facce sorridenti. Sono molti quelli che vogliono passare il Rubicone, una ricca ereditiera politica, costretta però a ritirare i dadi, un ex assessore allo sport, legato al Calcio Catania, due avvocati, tutti con un proprio bacino di voti (non serve altro), tutti al comando del capo di un noto partito isolano reso vergine da una recentissima sentenza. Intanto infestano la città dei loro sorrisi e delle loro giacchette, nulla dicendo alla città ma solo a loro stessi, al ceto politico che, accettando la ginnastica delle elezioni democratiche, deve continuare lo stesso antico sistema di potere. Nel silenzio, al di fuori di ogni dibattito pubblico. A questa campagna elettorale, silenziosa e confusa sì, ma poderosa corrisponde quella debole e inavvertibile dei candidati di schieramento opposto, che pur producendo un chiaro e lungo programma politico, malsicuri tentato di superare il penoso imbarazzo per il ritiro improvviso del proprio candidato, intrattenendosi in un silenzio incomprensibile, avvicendando con la stessa schizofrenia anch’essi nomi diversi.  Si consuma così uno strano teatrino muto, anche tra i fumi promiscui delle discoteche, del tutto inadeguato a rispondere alle urgenti istanze del capoluogo, appena nominato terza città più pericolosa d’Europa, in cui un quarto degli studenti abbandona prematuramente gli studi, ma ai quali non si sa dire nulla. Vengono allora alla memoria quei versi di Gaber in Io se fossi Dio, capolavoro di satira politica: E vorrei dire, mi pare Platone / Che il politico è sempre meno filosofo / E sempre più coglione. 

 

Enrico Fisichella -Liceo Classico Concetto Marchesi 5°C