Si definisce occlusione coronarica cronica totale (CTO) l’assenza di flusso anterogrado all’angiografia coronarica da almeno 3 mesi. Si tratta quindi di una completa chiusura del lume di una coronaria. Rispetto ad una lesione ateromasica comune, le occlusioni croniche sono caratterizzate da una lesione composta da un cappuccio duro, fibrocalcifico, a livello prossimale e distale e da un’area centrale di trombo organizzato.
Nella maggior parte dei casi, l’occlusione coronarica cronica non è determinata da un evento acuto ma da un’evoluzione graduale della patologia ateromasica nel corso di mesi o anni. La chiusura lenta e progressiva permette lo sviluppo di circoli collaterali, che funzionano come dei by-pass naturali, in grado di garantire un minimo apporto di ossigeno nel territorio dell’arteria chiusa.
Le CTO possono presentarsi con angor, dispnea o facile affaticabilità o essere asintomatiche.
Non tutte le occlusioni croniche devono essere trattate: un fattore imprescindibile è la presenza di vitalità miocardica, infatti non sarebbe indicato effettuare un trattamento percutaneo nei casi di pregresso infarto miocardico con completa necrosi del tessuto cardiaco. È quindi indispensabile valutare la vitalità e la funzionalità miocardica mediante tecniche quali la scintigrafia miocardica, la risonanza magnetica cardiaca o l’ecocardiografia da stress.
Altri fattori che indirizzano la scelta terapeutica sono la severità dell’ischemia, la sintomatologia anginosa, le caratteristiche morfologiche dell’occlusione, l’età del paziente e le eventuali comorbilità (es. insufficienza renale cronica). Quando indicata, la rivascolarizzazione di un’occlusione cronica consente il miglioramento della funzione ventricolare sinistra, la risoluzione dell’ischemia miocardica (sintomatica e/o silente) e miglioramento della qualità della vita.
Con la collaborazione della dott.ssa Giordana Finocchiaro