Diabete e scompenso cardiaco

Diabete e scompenso cardiaco

Lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi tipici (ad esempio mancanza di respiro, gonfiore alle caviglie e facile affaticabilità) causata da un’anomalia strutturale e/o funzionale del cuore che determina una riduzione della sua attività globale. Tra le cause più frequenti di scompenso cardiaco ricordiamo l’infarto del miocardio, le miocarditi, le cardiomiopatie congenite e/o acquisite, le alterazioni del ritmo cardiaco nonché le patologie valvolari.

La prevalenza di tale patologia nella popolazione adulta dei paesi sviluppati è approssimativamente del 1-2% ed arriva a picchi superiori al 10% tra le persone con più di 70 anni di età. Nel corso degli ultimi 30 anni, i progressi terapeutici hanno consentito di migliorare la sopravvivenza e di ridurre le ospedalizzazioni dei pazienti affetti da tale condizione e, in particolare, l’utilizzo di diverse categorie di farmaci quali i beta-bloccanti, i diuretici e gli ACE-inibitori, in grado di agire sulle determinanti dello scompenso cardiaco, ne rallentano l’evoluzione, determinando una notevole riduzione della morbilità e della mortalità.

L’iperglicemia ed il diabete sono comorbilità molto comuni nei pazienti affetti da scompenso cardiaco ed esse sono associate ad una peggiore prognosi. Nei pazienti con diabete e scompenso cardiaco, il controllo glicemico deve essere attuato gradualmente e moderatamente, dando la preferenza a quei farmaci, come la metformina, che hanno dimostrato di essere sicuri ed efficaci. Infatti, a differenza di quanto precedentemente reputato, la metformina rappresenta un farmaco sicuro nei pazienti con scompenso cardiaco e pertanto essa dovrebbe costituire il trattamento di prima scelta. Le ​​sulfoniluree sono state associate con un aumento del rischio di peggioramento dello scompenso cardiaco e devono essere utilizzate con attenzione.

L’insulina costituisce una scelta terapeutica pressoché obbligatoria per i pazienti affetti da diabete di tipo 1 e per il trattamento dei pazienti con diabete di tipo 2 che, a causa di una progressiva ipofunzionalità pancreatica, non possono giovarsi di terapie ipoglicemizzanti alternative e che necessitano pertanto di terapia insulinica sostitutiva. Tuttavia, essa è un potente ormone sodio-ritentivo e può esacerbare la ritenzione idrica determinando un peggioramento del quadro clinico di scompenso. Al pari, anche i tiazolidinedioni (glitazoni) causando ritenzione di sodio e acqua, incrementano il rischio di peggioramento dello scompenso cardiaco di ospedalizzazioni e, pertanto, non sono raccomandati in tali pazienti.

Gli inibitori delle Dipeptidilpeptidasi-4 (DPP4i) o gliptine, che agiscono aumentando la secrezione di incretine, stimolando in tal modo il rilascio di insulina, e gli agonisti del recettore Glucagone-Like Peptide 1 (GLP-1), che agiscono come incretinomimetici, migliorano gli indici glicemici ma non riducono e, in alcuni, discussi, studi, sembrano possano aumentare il rischio di eventi cardiovascolari e di peggiorare lo scompenso cardiaco. Recentemente, Empagliflozin, un farmaco in grado di favorire l’eliminazione di glucosio con le urine, inibendo il cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT-2), ha dimostrato essere in grado di ridurre l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca e la mortalità nei pazienti con diabete a ad alto rischio cardiovascolare, alcuni dei quali già affetti da scompenso cardiaco.

In assenza di altri studi con farmaci di questo gruppo, i risultati ottenuti con empaglifozin devono essere considerati limitati a tale molecola e non possono, al momento, essere estesi ad altri promettenti composti appartenenti alla stessa classe (es. dapagliflozin, canagliflozin).

Da quanto esposto si evince che è necessaria una accurata selezione dei tipi di farmaci ipoglicemizzanti da somministrare ai pazienti diabetici affetti da scompenso cardiaco e che ogni modifica terapeutica dovrebbe rappresentare una scelta condivisa tra specialista Diabetologo e Cardiologo di riferimento.

Massimo Buscema