Con la sentenza 2304/2016 il Tribunale di Firenze ha statuito che l’illegittima segnalazione, da parte di un ente creditizio, alla Centrale rischi della Banca d’Italia di un cliente quale debitore “sofferente” è una condotta capace di ledere l’immagine e la reputazione sociale e professionale del soggetto, provocando un pregiudizio risarcibile di natura non patrimoniale. Ha condannato, di conseguenza, la banca a versare la somma di euro 25 mila in favore del cliente.
L’azione legale è scaturita da una diatriba tra un imprenditore edile, vittima di reati di stampo mafioso, e l’istituto di credito in merito all’applicazione dei tassi di interesse e delle condizioni economiche di un contratto di “finanziamento carta revolving”. Nello specifico l’imprenditore ha asserito che i suddetti tassi sono stati stabiliti univocamente ed arbitariamente dall’istituto di credito e mai accettati dallo stesso, così da comportare la nullita degli stessi e l’applicazione del tasso di interesse legale. Di contro la banca ha segnalato l’impenditore quale debitore sofferente presso la Centrale rischi della Banca d’Italia. Ciò, nonostante l’importo fosse di euro 1.061,00, senza nessuna preventiva comunicazione da parte dell’istituto e nonostante la presenza di un decreto prefettizio di sospensione dei termini per 300 giorni, ex art.20 della legge 44/1999, disposto in favore dell’imprenditore vittima di usura.
Nel merito il Tribunale ha ritenuto che “in effetti la Banca, avendo l’obbligo di comportarsi secondo buona fede ex artt. 1715, 1374 5 1375 c.c., non avrebbe dovuto a fortiori procedere a segnalazioni presso la Centrale dei Rischi in assenza dei presupposti, o nell’oggettivo dubbio sulla loro esistenza, anche in considerazione dell’interesse del cliente a non subire segnalazioni che, oggettivamente, possano compromettere il suo futuro accesso al credito. In particolare ai sensi del disposto di cui all’art. 1176 c.c., la valutazione ad opera degli enti segnalanti deve essere particolarmente rigorosa: nel caso di intermediari finanziari, la particolare attività, consistente nel ruolo loro affidato e nell’esercizio del credito, si impongono controlli ripetuti, trasparenza e responsabilità, tali da poter tutelare l’affidamento generato nel pubblico.
La mancanza dei requisiti richiesti per la segnalazione nella categoria di censimento del rischio indicata come “sofferenze”, rende certamente illegittima tale segnalazione. Ciò posto, per il Tribunale l’illegittima segnalazione della banca, anche se non ha causato effetti dannosi diretti in capo all’imprenditore, è ugualmente lesiva della sua immagine pubblica e generatrice di un pregiudizio sotto il profilo patrimoniale. Ha ritenuto che “nell’ambito della tutela dei diritti della personalità e in particolare dell’identità personale, la tutela approntata dall’ordinamento è suscettibile di estensione anche contro comportamenti che, pur non offendendo l’onore o la reputazione o ledendo il nome o l’immagine fisica, menomino comunque l’immagine sociale dell’individuo, come già riconosciuto dal Supremo Collegio nell’affermare che l’interesse della persona, fisica o giuridica, a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, cioè di coacervo di valori (intellettuali, politici religiosi, professionali ecc.) rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonché, correlativamente, ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l’onore o la reputazione, ovvero ledere il nome o l’immagine fisica, deve ritenersi qualificabile come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 della Costituzione in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, ed inoltre tutelabile in applicazione analogica della disciplina dettata dall’art. 7 cod. civ. con riguardo al diritto al nome, con la conseguente deperibilità, contro i suddetti comportamenti, di Azione inibitoria e di risarcimento del danno” (Sez. 1, Sentenza n. 3769 del 22/06/1985).
Peraltro “l’onore e la reputazione costituiscono diritti inviolabili della persona, la cui lesione fa sorgere in capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché ai fini risarcitori è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa” (Sez. 3, Sentenza n. 25423 del 02/12/2014).
La formazione e costruzione dell’immagine pubblica di un individuo è frutto della sedimentazione delle informazioni a suo riguardo, il cui inverso procedimento di destrutturazione, smobilitazione e oblio è assai più complicato e incerto, anche nei casi in cui sia procedimentalizzato e doveroso, talché ben può ritenersi leso nella sua immagine pubblica e nella sua reputazione, di fronte al ceto bancario.
Avv. Elena Cassella del foro di Catania