Pillole di giurisprudenza: le sentenze più significative della Cassazione nel 2015

Pillole di giurisprudenza: le sentenze più significative della Cassazione nel 2015

Con l’arrivo del nuovo anno è tempo di fare un bilancio, a livello giuridico, sulle principali pronunce intervenute nel 2015. La Cassazione è difatti intervenuta in ogni singolo aspetto, sia in ambito civile che in ambito penale, emettendo da un lato, dei provvedimenti innovativi che hanno mutato un precedente proprio orientamento, e dall’altro, delle pronunce in continuità con consolidati orientamenti, senza tuttavia esimersi da pronunce stravaganti e di grande curiosità. Vediamo pertanto quali sono stati alcuni tra i principali provvedimenti dei giudici di Piazza Cavour.

In materia di diritto di famiglia, gli Ermellini sono intervenuti in materia di c.d. famiglie allargate, le quali al giorno d’oggi sono diventate una realtà non solo sociale ma anche a livello giudiziario. La Corte ha infatti statuito che qualora il coniuge beneficiario di un assegno di mantenimento intraprenda una convivenza more uxorio con il nuovo partner, viene meno il diritto a ricevere la somma mensile stabilita dal Giudice della separazione. Il coniuge che ha avviato la nuova relazione, infatti, automaticamente non ha più diritto a pesare economicamente sul coniuge precedente non solo qualora contragga nuove nozze ma anche in ipotesi di semplice convivenza, purché stabile e duratura con altra persona. Se, invece, la nuova convivenza o le seconde nozze interessano il coniuge obbligato a versare l’assegno di mantenimento, il giudice potrà ricalcolare la misura di tale importo, alla luce delle sue mutate condizioni economiche. (Cass.civile, 30 novembre 2015, n. 24414).

In materia di diritto del lavoro, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta lo scorso ottobre pronunciando la illegittimità del licenziamento nel caso di rifiuto del part-time. In particolare, infatti il licenziamento può essere giustificato solo se, in base alle esigenze dell’azienda, non risulta possibile utilizzare proficuamente la prestazione a tempo pieno del dipendente. Non è dunque sufficiente provare l’esistenza di un semplice pregiudizio economico: l’utilizzo del lavoratore full time, difatti, non deve soltanto comportare una maggiore spesa per il datore di lavoro, ma la prestazione deve risultare inutilizzabile proficuamente, perché si possa procedere al licenziamento del lavoratore. (Cass. Sent. 21875/15).

In tema di locazioni la Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito la nullità assoluta del contratto di affitto ad uso abitativo privo di forma scritta e non registrato. (Cass. S.U. sent. n. 18214 del 17.09.2015). La materia infatti nonostante trovi una compiuta regolamentazione nella legge n. 392/1978, e negli ulteriori interventi legislativi, nonché a livello codicistico agli artt.1571 e ss. del codice civile, è una tra le materie maggiormente soggette al contenzioso nelle aule giudiziarie. La Suprema Corte è intervenuta cambiando radicalmente l’approccio ai contratti di affitto non registrati: se, in precedenza, complice una interpretazione letterale della legge, l’affitto in nero veniva considerato sempre nullo, ora la sanzione civile scatterà solo per il padrone di casa e non per l’inquilino. Se è stato il padrone di casa a imporre all’inquilino di non registrare il contratto di affitto, questi non potrà mai agire in causa per farne dichiarare la nullità la quale di contro può essere fatta valere dal conduttore; in tal caso scatta il ricalcolo del canone dovuto dall’inizio sulla base degli accordi locali fra associazioni di categoria con l’inquilino che ha diritto alla restituzione di quanto versato in eccedenza.

In materia di contrattualistica, la Suprema Corte ha decretato, una volta per tutte, la validità del preliminare del preliminare, che si concretizza nella stipula di un accordo con il quale i contraenti si obbligano alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, propedeutico a sua volta alla stipula del definitivo (Cass. S.U. sent. n. 4628/2015 del 6.03.2015). La corte ne ha sancito la validità solo qualora emerga la configurabilità delle parti a una formazione progressiva del contratto, basata sulla tripartizione e differenziazione dei contenuti negoziali.

In materia di diritti personali invero, è recentissima la pronuncia della Consulta la quale, con la sentenza n. 15138/2015, ha stabilito che per ottenere il cambio di sesso all’anagrafe non è necessario l’intervento chirurgico di adeguamento degli organi sessuali. Gli Ermellini hanno difatti accolto il ricorso presentato da una persona trans che rinunciando all’intervento chirurgico, dopo l’ottenimento dell’autorizzazione, ha voluto comunque chiedere il cambio dello stato civile in ragione del fatto che, raggiunto un equilibrio psico-fisico, era ormai socialmente riconosciuta come donna. La Corte si è espressa nei seguenti termini: “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali”.

Da ultimo, certamente non per importanza, meritano attenzione alcune pronunce stravaganti e curiose, soprattutto in materia penale. I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto non sussistenti i reati di favoreggiamento/sfruttamento della prostituzione qualora il proprietario dell’appartamento stipuli un contratto di locazione con una prostituta, se il costo dell’affitto è in linea con quello di mercato. (Cassazione penale, sezione III, 28 settembre 2015, n. 39181). Di contro chiamare troppo spesso le forze dell’ordine potrebbe costituire reato. Ciò è quanto statuito con la sentenza della Cassazione penale, sezione V, del 21 ottobre 2015, n. 42392 ove l’imputata ha morbosamente controllato, effettuando anche videoriprese, quanto avveniva nell’abitazione delle persone offese e nelle aree circostanti quest’ultima. Tra le altre merita un accenno anche la vicenda, decisa con sentenza n. 44595/2015, nella quale i Giudici di Piazza Cavour non hanno ritenuto sussistente il reato di evasione dai domiciliari, per un uomo che agli arresti domiciliari presso l’abitazione coniugale, all’esito dell’ennesimo litigio con la moglie, preferiva allontanarsi da casa e chiamare i carabinieri affinché lo conducessero immediatamente in carcere. I Giudici hanno difatti ritenuto la totale assenza di offensività concreta, prevista dall’art. 49 c.p., comma 2, atteso che in nessun momento egli si è sottratto alla possibilità per gli addetti al controllo di effettuare le dovute verifiche, restando nelle immediate vicinanze del domicilio coatto. Tra gli aspetti giuridici c.d. curiosi è ravvisabile anche un interessante caso di diffamazione tra colleghi avvocati, i quali profferendo “parole grosse” ad altri colleghi hanno dato vita ad un procedimento penale giunto all’attenzione della Corte. Quest’ultima ha stabilito con sentenza n. 475/2015 che non si può dire “pregiudicato” ad una persona neppure nel caso in cui effettivamente il destinatario della frase sia un soggetto condannato con sentenza definitiva; “il ripetuto uso del termine pregiudicato è stato finalizzato a esprimerne il suo significato deteriore (trasgressore, soggetto a giusta sanzione), non solo indirizzandolo al colpevole, ma estendendone la forza denigratoria, sul generale piano deontologico e professionale, al medesimo e a tutti i componenti dello studio da lui diretto. Il termine realmente corrispondente al singolo capitolo della biografia giudiziaria del convenuto, è stato usato per imporre un marchio di stigmatizzazione generale non solo a quest’ultimo, come cittadino e come professionista, ma a tutto il metodo lavorativo dell’organizzazione professionale da lui diretta“.

Avvocato Elena Cassella del Foro di Catania