Un libro al mese nasce come consiglio, come invito, ma soprattutto come augurio di trovare uno spazio privato con i propri pensieri, un angolo di ristoro dalla quotidianità, un viaggio dal suo monotono tran-tran, un dialogo infine con quanto ci ha spesso aiutato a comprendere la nostra umanità.
Questa rubrica non ha alcuna pretesa di sostituirsi o accodarsi alle recensioni di critici letterari o a precise e puntuali esegesi dell’opera. Al contrario, vuole essere un giudizio fresco e totalmente personale su autori della narrativa contemporanea.
Perché fidarvi? Perché, ancor prima che scrittrice e insegnante di lettere, sono sempre stata e sempre sarò una lettrice onnivora consumatrice di romanzi per bisogno e ossessione.
Vi presenterò opere che considero assoluti capolavori dell’arte, spesso fuori dagli schemi, innovative per i loro contenuti e lo stile dirompente. Ma vi proporrò anche romanzi che, seppur non nella prima categoria, mi hanno aiutato a comprendere il mondo, i suoi oscuri percorsi, le nostre tortuose scelte di esseri straordinari, distruttivi e autolesionisti.
E questo mese vi parlerò di un romanzo di strettissima attualità, I disorientati di Amin Maalouf. Autore libanese autoesiliato in Francia e francofono d’adozione (e necessità) non può esimersi da un percorso autobiografico nel presentare il proprio alter ego, Adam, libanese e professore di storia a Parigi. In un ritorno impossibile nella sua patria perduta per sempre dà voce alla sua frustrata nostalgia. Ritrovare le sue origini in un luogo senza futuro non è proponibile, ma l’Europa non è il suo rifugio del cuore.
Ci confrontiamo con argomenti difficili come il conflitto arabo-israeliano dal punto di vista degli arabi, di chi ha vissuto l’arrivo degli ebrei come un’invasione, ha tentato di ribellarsi, tuttavia ne è uscito sconfitto senza se e senza ma. E “questa sequela di disfatte ha progressivamente squilibrato il mondo arabo […] in senso politico, ma anche clinico.”
Adam dialoga con i suoi amici di un tempo, mediorientali che hanno assistito alla distruzione del loro “oriente”. Ad uno di questi dice di occuparsi di una biografia di Attila e, allo stupore dell’altro per un argomento così storicamente marginale, spiega:
– Attila sono io, come avrebbe detto Flaubert. […] E’ l’archetipo dell’immigrato. Gli avessero detto: “Ormai tu sei un cittadino romano!”, avrebbe portato la toga, si sarebbe messo a parlare latino e sarebbe diventato il braccio armato dell’Impero. Ma gli hanno detto: “Sei solo un barbaro e un infedele!”, e il suo solo obiettivo è diventato di devastare il paese.
– Ed è il tuo caso?
– Avrebbe potuto esserlo, ed è sicuramente quello di moltissimi immigrati. L’Europa è piena di Attila che sognano di essere cittadini romani e finiranno per trasformarsi in barbari invasori. Mi accogli a braccia aperte, sono pronto a morire per te. Mi chiudi la porta in faccia e ciò mi fa venir voglia di demolire la tua porta e la tua casa.
Non è forse contenuto in queste parole il sentimento dei foreign fighter nei recenti atti terroristici di Parigi?
Buona lettura e buone riflessioni 🙂
Cinzia Di Mauro, autrice catanese di una trilogia di fantascienza Genius (finalista Urania e Delos) Ledizioni Milano, di un noir umoristico La storia vera di un killer nano(segnalato al Premio Calvino e scelto dalla Nabu), di un fantasy orwelliano Casa Bruiswiq e di un thriller sull’alta finanza In cima alle torri.