Omicidio Giordana, quando il papà uccide la mamma

Omicidio Giordana, quando il papà uccide la mamma

Riceviamo e volentieri pubblichiamo integralmente, come del resto abbiamo fatto in precedenti occasioni, una nota inviataci dalla presidente della Rete centri antiviolenza Raffaella Mauceri a margine dell’omicidio di Giordana Di Stefano, la ragazza di ventuno anni assassinata a Nicolosi tre giorni fa dall’ex convivente. La lettera della Mauceri prende in considerazione la situazione venutasi a creare per la bambina di 4 anni figlia di Giordana e deIl’assassino, in un colpo solo privata della madre, morta uccisa, e del padre, in galera per chissà quanto tempo. Ognuno naturalmente è libero di condividere o no le opinioni della Mauceri magari confrontandole con le proprie. Certo è comunque il fatto che, trattandosi di un argomento che scatena importanti reazioni, è utile approfittare di ogni occasione di dibattito.

In Italia il femminicidio continua indisturbato a mietere vittime. Penultima la nostra Eligia Ardita, ultima Giordana di Stefano, una giovane catanese. Aveva solo 20 anni e, per ignoranza e per ingenuità, è caduta nella trappola anche lei: mai andare all’ultimo appuntamento col carnefice, mai credere alle sue promesse e ai suoi buoni propositi, mai perdonarlo né colpevolizzarsi di non averlo perdonato, e soprattutto mai illudersi di poterne uscire senza l’aiuto di un centro antiviolenza qualificato. L’Italia detiene il primato del femminicidio in Europa, ma le donne continuano a morire ammazzate e nessuno si interroga sull’inefficienza delle istituzioni. Le donne continuano ad essere scannate ma il femminicidio si continua a chiamarlo omicidio e quel che è peggio, si continua a non fare tesoro delle competenze e dell’esperienza dei centri antiviolenza qualificati! E scusate se insistiamo sull’aggettivo “qualificati” perché, ahinoi, ci sono centri che non sono all’altezza del titolo che si attribuiscono e nessuno li fa chiudere perché nel nostro Paese a certe “sottigliezze” non si fa caso…

Noi invece ci chiediamo tutti i giorni perché così tante donne ubriache di quel pericoloso sentimentalismo cui siamo state educate tutte le donne, vogliono fare le crocerossine dei loro maltrattanti per “salvare” i mostri da se stessi con la forza dell’amore. Ci chiediamo che fine fanno quelle che sporgono una, due, tre denunce (sono stati registrati record di otto denunce!) e non interviene nessuno e muoiono lo stesso. Oppure quelle che i loro carnefici le tengono in pugno perché non hanno di che sopravvivere alla separazione stante che gli alimenti… campa cavallo che l’erba cresce. E ci chiediamo che fine fanno i figli del femminicidio e cioè i bambini protagonisti passivi e silenti del più terribile dei delitti: quello del papà che uccide la mamma. Come la bimba di Giordana Di Stefano, il cui assassino adesso con l’infamia degli assassini, si difende dicendo che temeva di perdere la figlia sperando in uno sconto di pena. Le cronache non ne parlano, perché spesso la stampa dimentica la stretta associazione tra “donna e madre”. I bambini subiscono passivamente dinamiche di possesso, uccisioni, solitudine e dopo la tragedia si ritrovano di colpo senza entrambi i genitori, lei perché uccisa, lui perché in carcere.

Ad attenderli, dunque, percorsi estremamente dolorosi tra tribunali, servizi sociali, nonni, zii, famiglie affidatarie o famiglie adottive, e nei casi peggiori, un istituto. Sono bambini la cui infanzia è segnata dalla tragedia e dal futuro incerto e nebuloso. Bambini dimenticati da tutti, nonostante siano orfani la cui elaborazione del lutto, sarà vieppiù complessa e controversa perché dovranno elaborare la perdita di una madre ingiustamente uccisa e allo stesso tempo la perdita di un padre impossibile da perdonare! In Italia fra il 2010 e il 2013 sono stati oltre 1500 e non esistono strumenti che offrano a questi innocenti una vita decente. I casi vengono trattati dai tribunali dei minorenni alla stregua degli altri orfani, ma in realtà le loro storie sono completamente diverse. Un bambino orfano è un bambino straziato dalla perdita e dal dolore, ma un bambino orfano per femminicidio lo è infinitamente di più perché, protagonista inerme di un’atrocità senza limiti, sarà costretto a rileggere la sua storia familiare con gli occhi invasi dall’aggressività e dall’incomprensione.


Nella maggior parte dei casi, i tribunali dei minori li affidano ai parenti più prossimi, quasi sempre i nonni spesso anziani e spesso poveri, e non sempre sono quelli materni perché il tribunale teme che i nonni materni potrebbero crescere il nipote all’insegna dell’odio verso il padre. E non sia mai che per quanto infame e debosciato un padre possa essere odiato dai figli…. Senza regole né leggi severe, in Italia non esistono condotte univoche e questi bambini vagano da un’istituzione all’altra. Un esempio di cronaca locale accaduto recentemente in Sicilia: Il figlio di Rosi Bonanno, la donna uccisa a Palermo dall’ex convivente Benedetto Conti, sarà dato in adozione.
I genitori di Rosi però sono troppo anziani e disagiati sul piano economico, quindi non adatti a garantire un adeguato sviluppo del bambino che ha recentemente compiuto dodici anni; il bambino sarà dato in adozione non si sa bene a chi, smarrendo la possibilità di vivere una continuità affettiva con la famiglia d’origine. Sarà un adulto senza radici e con un’infanzia interiorizzata nell’odio e nel dolore. A quando una legge? A quando un po’ di umanità da parte degli adulti?