I prezzi in Sicilia sono scesi, ma ci sembrano più alti: ecco perché

I prezzi in Sicilia sono scesi, ma ci sembrano più alti: ecco perché

SICILIA – I prezzi di cibo, energie o carburante sono scesi, ma abbiamo ancora la percezione che stiano salendo.

È il risultato a cui è arrivato l’ufficio studi della Cgia di Mestre, particolarmente valido per la Sicilia, dove il tasso di crescita dei prezzi dei beni di consumo è stato più basso rispetto a molte città italiane, anche del Mezzogiorno, nel 2023.

L’inflazione continua a “mordere”, ma il peggio sembrerebbe passato. Almeno secondo i numeri.

Siracusa e Palermo sono le uniche province dove l’inflazione resta appena sopra l’1% (+1,1%). Statistiche leggermente migliori rispetto quelle di Benevento (+1,8%), Napoli (+1,7%) o Cagliari (+1,4%).

A Brindisi, come a Siena, il tasso sfiora il 2% (+1,9%). Nell’ultimo anno anche la Sicilia si è lasciata alle spalle quasi 8 punti percentuali di inflazione in più, ma solo nelle province di Catania, Messina e Trapani il tasso è sceso sotto l’1%, fermandosi allo 0,8%, lo 0,6% e lo 0,3% rispettivamente.  

In Sicilia un’inflazione più bassa non è una novità. La vita costa ancora meno

Il fatto che l’inflazione siciliana sia minore che in Italia deriva, verosimilmente, da una più moderata tendenza che il meridione ha sempre avuto sul costo della vita – ha spiegato il professore Alessio Biondo associato di Politica Economica dell’Università di Catania -. Molto passa dal sommerso e dalla disponibilità di alimentari e beni di prima necessità in mercati poco trasparenti in cui le variazioni di prezzo sono più modeste”.  

Tassi di inflazione “territoriali” esistono perché  “le province hanno redditi, usanze e abitudini sociali molto diverse fra loro. Per questo – ha aggiunto il professore Biondo – è verosimile immaginare che i meccanismi che provocano i rialzi dei prezzi non proseguano sulle stesse corde”.



In Sicilia i costi non sono cresciuti ovunque alla stessa “anche per una specializzazione indiretta– spiega il docente – mi riferisco al fatto che non in tutte le province contano le stesse variabili, sia in senso produttivo che in senso sociale”.

A riguardo, ha spiegato anche l’ufficio studi della Cgia (riferendosi alle province con i tassi d’inflazione maggiori): “Sono quasi tutte realtà territoriali con una grande vocazione turistica che hanno subito importanti incrementi di spesa delle attività riconducibili ai servizi ricettivi, di ristorazione e alla persona. Un deciso incremento di costo ha interessato anche i trasporti, gli affitti di case/negozi e il carrello della spesa“.

Una percentuale più bassa di inflazione vuol dire prezzi più accessibili e maggiore capacità di spendere anche per le famiglie siciliane. Questa la teoria, perché, spiega l’ufficio studi della Cgia di Mestre “Sebbene la crescita dell’inflazione stia rallentando, la percezione dei consumatori italiani è che i prezzi dei beni e dei servizi stiano invece salendo”. Se nell’ultimo anno “ad esempio, i prezzi dell’energia elettrica e del gas sono scesi rispettivamente del 29,2 per cento e del 21,6% […] per contro, è aumentato, in particolar modo, il prezzo delle patate (+11,9%) o l’olio d’oliva (+44,3%). Così come le vacanze nel nostro stesso paese (+17,2%)”. 

Soprattutto per le famiglie meno abbienti, l’abitazione e l’alimentare sono le voci di spesa che hanno contribuito maggiormente ad incrementare le uscite complessive, spiega appunto Cgia. 

L’inflazione è un processo di aumento dei prezzi nel tempo, che può essere più o meno rapido – ha ricordato il professore Unict Biondo – Per semplificare si può dire che ci siano due importanti fattori che la influenzano: il primo è un eccesso di domanda generalizzato rispetto alle quantità prodotte e reperibili nel sistema; il secondo è un aumento dei costi che le imprese sostengono per produrre. Viviamo in un periodo in cui chiaramente è l’incremento di costi sostenuti dalle imprese a giocare un ruolo rilevante nella spinta inflazionistica”. 

A contribuire al quadro attuale, secondo il docente, sono state anche le decisioni prese dalla Banca Centrale Europea (Bce). “Gli alti tassi di interesse decisi dalla Bce aggravano questa situazione e rendono più difficile la vita alle imprese e alle famiglie. Solo le rendite finanziarie (incasso di rate di mutui e finanziamenti ndr) aumentano. Questi guadagni però non garantiscono più occupazione e perciò l’economia va male, i prezzi sono alti e molte persone restano in difficoltà”.