PALERMO – 42 anni fa, ci lasciava il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, colui che nell’ultimo periodo della propria vita indagò sui traffici di Cosa Nostra, per contrastare la criminalità organizzata a Palermo e in Sicilia.
Entrò nell’Arma durante la Seconda Guerra Mondiale e partecipò alla Resistenza. Lottò contro le Brigate Rosse in qualità di generale di brigata e fece istituire il “Nucleo Speciale Antiterrorismo“. In seguito venne promosso a generale di divisione, poi fu nominato coordinatore delle forze di polizia e degli agenti informativi per la lotta al terrorismo, e successivamente ricoprì il ruolo di vicecomandante generale dell’Arma.
Dopo aver lavorato in diverse città d’Italia, tornò in Sicilia con il grado di colonnello, a comando della Legione Carabinieri di Palermo, occupando l’incarico di Prefetto. Fu ucciso circa quattro mesi dopo il suo insediamento, nella cosiddetta strage di via Carini, in cui rimasero coinvolti anche la moglie Emanuela Setti Carrero e l’agente di scorta Domenico Russo. Gli è stato poi conferito il titolo onorifico di medaglia d’oro al valore alla memoria.
Per contrastare i numerosi episodi di violenza messi in atto dalle Brigate Rosse, utilizzò gli stessi metodi già sperimentati/collaudati contro le organizzazioni mafiose in Sicilia, ovvero l’infiltrazione di alcuni uomini all’interno dei gruppi terroristici, in modo da scoprire e conoscere i loro schemi di potere, e per capire meglio anche come muoversi.
La nomina a Prefetto di Palermo arrivò il 6 aprile 1982, ma all’atto pratico l’insediamento avvenne a fine mese, precisamente il 30 aprile, stesso giorno dell’omicidio di Pio La Torre, anch’egli ricordato per il suo impegno nella battaglia contro Cosa Nostra.
L’obiettivo era quello di raggiungere lo stesso risultato ottenuto nella lotta verso le Brigate Rosse.
Nonostante dubbi e perplessità di Carlo Albero dalla Chiesa sulla propria nomina, si fece convincere dal ministro Virginio Rognoni a ricoprire l’incarico.
Già nel corso delle prime settimane, ci furono svariate lamentele a causa di gravi mancanze, quali il sostegno da parte dello Stato e il rispetto degli impegni assunti in precedenza dal governo, ma anche i “poteri speciali” promessi che tardavano ad arrivare (che poi all’atto pratico lo Stato non gli concesse mai).
A luglio fece disporre di trasmettere alla Procura di Palermo il “Rapporto 162”, all’interno del quale era stato ricostruito dettagliatamente dalla collaborazione in sinergia di polizia e carabinieri, l’organigramma delle famiglie mafiose palermitane, mediante indagini mirate e comprovate.
Ad agosto rilasciò anche alcune dichiarazioni, in cui manifestava il suo disappunto verso le carenze di mezzi, ma soprattutto di sostegno, elementi necessari nella lotta alla mafia.
Precisamente, in un’intervista del giornalista Giorgio Bocca, affermava quanto ormai Cosa Nostra fosse potente/dominante nell’intera Regione, sostenendo quanto segue: “Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?“.
Queste parole suscitarono però, nei confronti dei cosiddetti “Cavalieri del Lavoro” catanesi, ovvero Carmelo Costanzo, Mario Rendo, Gaetano Graci e Francesco Finocchiaro, un grande senso di risentimento, che diede il via ad una lunga polemica in forma ufficiale, iniziata da Mario D’Acquisto, all’epoca Presidente della Regione Siciliana, che invitò Carlo Alberto dalla Chiesa ad esporre pubblicamente e in maniera specifica, il contenuto e le fonti di tali dichiarazione, dimostrandone la veridicità.
A fine mese, attraverso una telefonata anonima fatta ai carabinieri del commissariato di Palermo, probabilmente dal boss Filippo Marchese, venne annunciata per la prima volta l’intenzione di voler uccidere il generale, menzionando gli ultimi e recenti omicidi di mafia, e sostenendo che dopo di essi, quello che riguardava Carlo Alberto dalla Chiesa poteva definirsi “quasi concluso”.
Infatti, il 3 settembre 1982 alle ore 21:15, l’auto sulla quale viaggiavano lui e la moglie (una A112), fu affiancata in via Isidoro Carini da una Bmw Serie 5, guidata da Calogero Ganci, con accanto Antonio Madonia, da cui esplosero trenta raffiche di Kalashnikov AK-47, provocando la morte di entrambi.
Quasi contemporaneamente, nello stesso istante, il veicolo con a bordo l’agente della scorta Domenico Russo, che al momento dell’attentato si trovava dietro la vettura del Prefetto, seguendola, venne avvicinato da una motocicletta Honda Cb, guidata da Giuseppe Lucchese, insieme a Giuseppe Greco, da cui partì un’altra “scarica” di AK-47, ferendo gravemente l’agente, che purtroppo non riuscì a sopravvivere, decedendo dodici giorni dopo in un ospedale di Palermo.
Il giorno seguente ebbero luogo i funerali nella Chiesa di San Domenico, con una folla gremita di persone, molte delle quali protestarono contro le presenze politiche, che vennero accusate di aver lasciato solo il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, “abbandonandolo” in un frangente così delicato.
Ci furono attimi di tensione/scompiglio tra la gente e le autorità. Addirittura la figlia, Rita dalla Chiesa, domandò espressamente che venissero tolti i fiori inviati dalla Regione Siciliana, ponendo sul feretro soltanto il tricolore, la sciabola, il berretto della sua divisa, le relative insegne delle onorificenze e la sciarpa azzurra ufficiale.
Per gli omicidi vennero condannati all’ergastolo come mandanti, i vertici di Cosa Nostra, cioè i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci, mentre, in qualità di esecutori materiali dei tre delitti, vi furono Vincenzo Galatolo, Antonino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, i primi due all’ergastolo e i restanti a quattordici anni di reclusione.
Qualche anno fa, per l’esattezza nel 2017, “Il Fatto Quotidiano” riportò le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, secondo cui l’ex eurodeputato Francesco Cosentino, facente parte della Democrazia Cristiana, vicino all’onorevole Giulio Andreotti, sarebbe stato il reale mandante dell’omicidio del generale, confermando in questo modo alcune precedenti accuse a suo carico.
Nella giornata di oggi, per celebrare e ricordare Carlo Alberto dalla Chiesa e il suo impegno profuso nella lotta alla mafia, vengono svolte diverse manifestazioni, commemorazioni, cerimonie, cortei e iniziative di vario tipo, in molte città d’Italia, e in particolare della Sicilia.
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