SICILIA – Il boss mafioso Giuseppe Guttadauro, noto come il “dottore” per la sua professione di medico all’ospedale Civico, è stato intercettato mentre impartiva lezioni sulla mafia a suo figlio Mario Carlo, ignaro di essere sotto sorveglianza. Queste conversazioni sono state scoperte durante un’indagine condotta nel 2022 dalla Procura, che ha portato all’arresto di entrambi.
“Ti devi evolvere, hai capito? Il problema è rimanere con quella testa, ma l’evoluzione…“, così si rivolgeva al figlio.
L’inchiesta ha svelato le attività illecite del capomafia, che, nonostante fosse stato rilasciato nel 2012 e si fosse trasferito a Roma, non aveva mai tagliato i suoi legami con Cosa Nostra e continuava a condurre affari illegali.
Il tribunale di Palermo lo ha condannato a 5 anni di reclusione in aggiunta a una condanna precedente, mentre suo figlio è stato condannato a 8 anni. Entrambi sono stati difesi dall’avvocato Raffaele Bonsignore e accusati di associazione mafiosa.
Nel 2001, Guttadauro era stato coinvolto nell’inchiesta denominata “talpe alla Dda”, che ha portato alla condanna dell’ex governatore siciliano Totò Cuffaro a 7 anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia.
Proprio durante le indagini sul medico, l’inchiesta ha rivelato l’esistenza di una rete di informatori che fornivano notizie riservate sulle indagini in corso, tra cui l’imprenditore mafioso Michele Aiello e lo stesso Guttadauro.
Il nome del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, è emerso da un’intercettazione effettuata nella residenza del boss di Brancaccio poco prima che egli scoprisse l’esistenza di una microspia nella sua abitazione.
Era il 15 giugno 2001 e la registrazione registrò le parole: “Ragiuni avia (ragione aveva, ndr) Totò Cuffaro“.
Dopo l’ultimo arresto, a Guttadauro furono concessi i domiciliari per motivi di salute, ma successivamente gli sono stati revocati a causa delle ripetute violazioni commesse.
Il giudice per le indagini preliminari che lo fece tornare in carcere descrisse Guttadauro come un uomo completamente incapace di rispettare le prescrizioni imposte dalle misure giudiziarie diverse dal carcere, poiché era ossessionato dalla necessità di mantenere indisturbate le comunicazioni con vari soggetti appartenenti al suo ampio circuito di relazioni.
Era una personalità che cercava spasmodicamente canali relazionali e comunicativi per alimentare il proprio status di affiliato a Cosa Nostra.
Così scrisse il gip che lo fece tornare in cella:
“Un uomo totalmente incapace di rispettare le prescrizioni imposte da misure giudiziarie diverse dal carcere perché permeato dal bisogno di continuare indisturbato le comunicazioni con diversi soggetti del proprio ampio circuito relazionale.
Una personalità che ricerca spasmodicamente canali relazionali e comunicativi attraverso i quali alimentare il proprio status di appartenente a Cosa nostra“.
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