“Cuore nero” di Silvia Avallone

“Cuore nero” di Silvia Avallone

Due solitudini si incontrano a metà strada della loro vita. Nessuno dei due dovrebbe subire la presenza dell’altro, enorme è la distanza che hanno scelto come stemma dei loro giorni. Due vite con una dominante paratia che separa il bene dal male perché così deve essere, dove il colore non può abitare il luttuoso nero trova spazio, aria, angusto grembo di luce annegato nelle ombre figliastre. “Cuore nero” di Silvia Avallone è senza alcun dubbio un romanzo maturo dopo quattro anni di inchiostro muto, reduce del successo letterario di “Un’amicizia” (Rizzoli, 2020).

Se cuore c’è, un vestito di colore deve pur averlo indossato tra un battito lento e quello dopo istigato alla sommossa. Succede a Bruno, succede a Emilia. Due battiti diversi (se non addirittura opposti) di un unico cuore venuto al mondo per vincere la paura del silenzio. Stranamente i due naufraghi della colpa sono ancora a galla anche se il resto del mondo non smetterà di guardarli come i figli dell’abisso. Emilia ha conosciuto il carcere, Bruno convive con il cuore svegliatosi nero il mattino dopo di una immensa tragedia. Bruno ed Emilia trovano rifugio nel nido di Sassaia, un piccolo borgo di montagna che accoglie i due soldati senza divisa ma con una guerra nelle scarpe.

Il futuro non è contemplato. Quando busserà alla porta i due destini incrociati dovranno fare i conti con l’arte della dimenticanza non accessibile a tutti. I capricci dell’oblio scelgono modi e tempi sbagliati per cancellare ciò che ha tutto il diritto di sopravvivere ai lutti dell’anima. Sia Bruno che Emilia nuotano controcorrente con le poche forze sfuggite agli sguardi puntati sulla colpa, adesso si ritrovano mano con mano nel fosso dentro cui sono precipitati, forse spinti da un cuore nero assoldato dal male. A Sassaia, la presenza di Emilia non passa inosservata.

Una trentenne con jeans strappati, stivaletti viola e un giaccone verde fluo. Bruno non può fare a meno di notare quel riverbero di luce in giro per il paese, quasi un preludio alla liberazione dalle catene fantasma che gli hanno proibito di vivere come meritava. Bruno, il giovane orfano di entrambi i genitori a causa di un incidente stradale, vive nella sua isola sulla montagna allergica al contatto con il resto del mondo. Concede confidenza solo ai vestiti che lo riparano dal freddo, l’ingresso di un’altra voce è stato proibito dal guscio ormai avvezzo al letargo. “Eravamo due esseri umani. Quello che lei aveva compiuto, avrei potuto compierlo io, era una possibilità che tutti avevamo nel corpo e in quello che c’era dentro: l’anima? L’abisso? Di colpo mi accorsi di quanto tutto, tutto il bene contenuto in noi e nella materia, fosse precario e meraviglioso, degno di cura a qualsiasi costo. Allora cos’era, il male? Il non saper perdonare”.

A Bruno spetta il compito di riconoscere il dolore dell’altro attraverso la descrizione degli stati d’animo vagabondi in una centrifuga di emozioni sconosciute alla pelle. L’amore impara a nutrirsi di elementi nuovi che in quell’angolo di mondo assumono tutte le sembianze di un miracolo. La stagione della vita confida nel futuro possibile in virtù di una volontà ritrovata tra le macerie di un maledetto ieri. Prima di gettare l’ancora nelle acque limpide della Verità è necessario rendersi conto di essere ancora vivi, e solo dopo, a passo sicuro, aggiornare la mappa di questo viaggio ancora lontano dall’epilogo.

“Devi perdonarti di essere viva, Emilia”. La libertà di Bruno suscita invidia alle sbarre dietro cui è cresciuta Emilia. Adesso, a guardarli insieme, il pensiero corre verso due pianeti di due distinti universi che per un esperimento cosmico si sono ritrovati l’uno accanto all’altra. Poche luci, molte ombre chiudono il cerchio ad un cuore troppo nero che a stento si avvicina alla prima sfumatura di sole felice. L’incontro tra due anime risorte promette nuova vita al cuore davanti al perdono di un Dio misericordioso. Le porte si chiudono ma non c’è serratura che tenga quando la compassione chiede udienza alla gemella pietà.

“Ci sono buchi che non puoi riempire. Che resteranno lì per sempre, neri e profondi. Però, se vorrai, potrai costruirci una vita intorno, come ricresce l’erba sul bordo dei crateri”. La lettura in chiave psicologica delle personalità dei due protagonisti consiglia di tener conto delle relazioni familiari vera fucina dei due destini. Un quadro completo della vulnerabile cornice dei rapporti solleva la polvere delle verità nascoste dietro una profonda solitudine. Da uno sconosciuto dolore al confine del proprio si ha l’opportunità di definire ciò che la pena ha lasciato irrisolto. Quanto spreco di tempo in preda ai pensieri compulsivi del “troppo tardi”. Già da domani il dolore fallito si sveglierà per vivere ancora, di nuovo.

 

sara