PALERMO – Noi siciliani spesso affianchiamo, ad una notizia brutta, un’altra meno deprimente per cercare, comunque, di “cunuttarci” e dire: “Almeno chiangemu cu n’occhiu!”. Certo, il vortice di notizie che, giorno dopo giorno, i media ci propinano non lasciano sperare niente di buono; la depressione sociale si spande a macchia d’olio, specie in Sicilia, anche se cerchiamo di reagire con la satira: “Sapete che i colori dei semafori siciliani sono diventati quattro? Sì perché al verde, giallo e rosso, è stato aggiunto il nero che ti lava il vetro!”.
Abbiamo toccato il fondo, non solo sulla corruzione, sul voto di scambio, sulla compravendita di voti, sulla sanità, sulla mala gestione della pubblica amministrazione, sulla mancanza di lavoro, sul sistema alternativo dello scambio emigratorio (gli extracomunitari che sbarcano in Sicilia e i giovani siciliani che vanno a lavorare all’estero), ma anche per il grave attentato alla nostra salute che, a mo’ di biscia silente e ampiamente mimetizzata, penetra nei mercati per arrivare anche nelle industrie alimentari e poi nelle GDO (grande distribuzione organizzata) e distruggere per intero la produzione agricola, ortofrutticola, agrumicola, vinicola, zootecnica e lattiero casearia, il tutto Made in Sicily.
Stando ai fatti di cronaca, una nave mercantile, carica di grano Kazako putrefatto, arriva al porto di Pozzallo e, nonostante il veto di sbarco imposto dalla sanità marittima e dal servizio di controllo fitosanitario, il Tar di Catania decide il lasciapassare, su richiesta dell’azienda interessata all’approvvigionamento, perché il cereale possa essere sottoposto ad una vera e opera di cernita e selezione, tesa a recuperare parte buona del frumento.
Meno male che la ditta importatrice, per giunta siciliana, ha rinunciato allo sdoganamento e, di conseguenza il carico inquinato ha preso “la rotta di ritorno al mittente”. Il falso Made in Italy si afferma con prepotenza e vede aumentare il volume di affari del 70 per cento e per più di un miliardo di euro, con Prosecco prodotto in Russia e spacciato per italiano e tanto, ma tanto altro ancora.
Ma in Sicilia come siamo messi? A questo punto sorge il dubbio: ma quanti altri carichi, come quello del frumento Kazako (siamo persino riusciti a distruggere le colture di grano e di cereali in Sicilia) sono passati e ne passeranno ancora in sordina? Ma quante migliaia di tonnellate di ciliegino di Pachino, proveniente dai Paesi africani, dobbiamo, ancora, continuare a legittimare come prodotto “nostrano”?
Le etichette, degli alimenti che andiamo a comprare nei supermercati, sono del tutto affidabili, o in magna pars taroccate? Il Made in Italy, finto, e il Made in Sicily, altrettanto finto, di prodotti lavorati, sono presenti persino negli scaffali dei supermercati e dei centri commerciali di casa nostra? I dubbi vi sono, e piuttosto assillanti, esempi? Ce ne sono a iosa: costate di maiale, prive di gusto di suino (sembrano di plastica); petti di pollo, di tacchino e di coniglio dal gusto indistinguibile (il loro sapore è diventato comune, senza distinzioni di sorta); uova al gusto di pesce; pesci di allevamento dal sapore “non di mare”; esempi ce ne sarebbero a iosa, ma, forse è meglio… fermarci qui!
La politica del “muru vasciu” continua, alla prossima.