PALERMO – “Fratel Biagio era laico cristiano, un mite potente lottatore“.
Nelle parole dell’arcivescovo Corrado Lorefice c’è un breve ma preciso ritratto di Biagio Conte, il missionario dei poveri morto a 59 anni.
I suoi funerali solenni sono celebrati nella Cattedrale nella quale si è ritrovata la Palermo che ha amato fratel Biagio e sostenuto la sua missione. La salma, in una bara di legno povero di colore chiaro, è stata deposta davanti all’altare circondata da volontari e ospiti della Comunità fondata da Fratel Biagio.
“Lottava – ricorda monsignor Lorefice – con l’arma del digiuno per tendere al massimo la sua forza umile e non violenta“.
Esprimeva così un impegno cominciato trenta anni fa con la creazione della missione Speranza e carità che nel tempo è diventata una rete di solidarietà umana che in dieci comunità accoglie quasi 600 persone: ultimi, disperati, poveri, migranti.
“L’unica eredità di cui Fratel Biagio si è appropriato – aggiunge l’arcivescovo – è stata il dolore e la povertà dei fratelli. L’eredità che ci lascia è la ricchezza del suo esempio“.
Lorefice ricorda poi il percorso umano di fratel Biagio ispirato al messaggio di san Francesco: era ricco e non gli mancava nulla ma ha fatto una scelta di rinunce per dedicarsi al riscatto dei poveri. Erano loro, la pace e la giustizia le sue passioni.
“Vedevamo in lui – dice ancora Lorefice – una certezza che vorremmo diventasse sempre nostra, di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà. C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito. Per questo fratel Biagio era vivo. Pieno di vita anche alla fine, sul letto che era diventato la sua croce”.
“Sempre attento a ciò che succedeva nella città terrena, sempre in movimento. Anche alla fine, quando non poteva più muovere i piedi, le gambe, ma continuava a muovere il suo cuore, sul sentiero della vita“, conclude.