Stupro di gruppo a Palermo, Ermal Meta e il tweet della “discordia”: il cantante si spiega

Stupro di gruppo a Palermo, Ermal Meta e il tweet della “discordia”: il cantante si spiega

PALERMO – Una ragazza contro 7 giovani. Una violenza sessuale di gruppo agghiacciante, che ha lasciato tutti sconvolti, increduli, senza parole ma con un profondo senso di disprezzo.

Gridava “Basta“, la 19enne stuprata al Foro Italico, accasciandosi a terra per i forti dolori, stremata e abbandonata poi sul ciglio della strada.

Il branco, però, continuava, denigrandola e schernendola. Si “passavano” la ragazza quasi fosse un oggetto, un giocattolo. Cancellando la sua identità di donna e approfittando del suo stato di ubriachezza. Poi, come se nulla fosse, sarebbero andati a fare uno spuntino in rosticceria.

I conti “sbagliati” del branco

Pensavano che quella sera fosse stata una delle tante, un momento di “divertimento” (se così si può definire) che non avrebbe avuto conseguenze.

E invece no: non avevano fatto i conti con una possibile denuncia, né con la giustizia che li avrebbe inchiodati alle loro responsabilità.

O forse sì, l’avevano calcolato, visto che avrebbero – preventivamente – anche nascosto e insabbiato i telefonini per evitare che saltassero fuori altri dettagli e video da far accapponare la pelle.

“Cento cani sopra una gatta”

Ora nella mente della vittima solo tante immagini, nitide, e una macchia indelebile che non andrà più via. Con annessa paura di fare anche un passo da sola. Di chi si potrà più fidare la 19enne? Proprio un amico avrebbe “architettato” tutto, filmando anche la scena. Ma non l’avrebbe toccata, consolatio inutile.

Era comunque lì presente, ha partecipato a una violenza ai danni di una persona che conosceva e che, in qualche modo, doveva difendere e non danneggiare.

Ma c’è di più, sconvolgente il racconto l’indomani dello stupro del conoscente della vittima a un amico: “Lo schifo mi viene, perché eravamo ti giuro 100 cani sopra una gatta, una cosa di questa l’avevo vista solo nei video porno. Eravamo troppi. Sinceramente mi sono schifato un poco ma però che dovevo fare? La carne è carne“.

La reazione del cantante Ermal Meta

Non c’è commento che si possa fare. Queste frasi, però, hanno scatenato la reazione del web.

Primo tra tutti il cantante Ermal Meta che ha scritto su Twitter: “Lì in galera, se mai ci andrete, ad ognuno di voi ‘cani’ auguro di finire sotto 100 lupi in modo che capiate cos’è uno stupro“.



Ma subito si è scatenata la polemica: alcuni non hanno gradito il post, giudicandolo troppo esagerato. Così lui ha replicato: “Di orribile c’è quello che hanno fatto, di orribile c’è il trauma che quella ragazza probabilmente si porterà dietro per molto tempo, di orribile c’è la madre di uno di loro che cerca di far passare per una poco di buono la vittima, di orribile c’è la mancanza totale di empatia, di orribile c’è filmarla, deriderla, lasciarla per strada come uno straccio e poi minacciarla, di orribile c’è la totale mancanza di umanità“.

Conosco persone, donne, che da uno stupro non si sono riprese mai più. Che scattano in piedi appena sentono un rumore alle loro spalle, che non sono più riuscite nemmeno ad andare al mare e mettersi in costume da bagno come se non avessero nemmeno la pelle. Vogliamo salvare e recuperare un branco? Ok, sono d’accordo. Ma come salviamo una ragazza di 19 anni che d’ora in poi avrà paura di tutto? Perché la responsabilità sociale la sentiamo nei confronti dei carnefici e non in quelli della vittima?“, chiede.

E ancora: “Se c’è una qualche forma di responsabilità collettiva nei confronti dei carnefici, allora dovremmo provare a sentirci responsabili anche per quella ragazza e per tutte le vittime di stupro perché è a loro che dobbiamo veramente qualcosa, sono le vittime che vanno aiutate a ricostruire la propria vita“.

Le “pene esemplari” e l’educazione preventiva

Poi, è tornato sulla vicenda, aggiungendo dell’altro: “Per quanto riguarda le pene esemplari credo che siano assolutamente necessarie per un semplice motivo: nessun atto criminale viene fermato dalla paura della rieducazione, ma da quella della punizione. L’educazione deve funzionare prima che si arrivi a compiere un abominio del genere. Ovviamente siamo tutti garantisti finché la ‘bomba’ non ci cade in casa“.

Non è la collettività ad averli portati a compiere uno scempio del genere, ma una loro precisa e lucida scelta. Se l’educazione (compito della famiglia) non funziona prima, deve funzionare la punizione dopo, proprio per difendere la collettività che tanto ti sta a cuore. Esporsi non giova mai a nessuno, ma non riesco a non mettermi nei panni della vittima e a non sentirmi male per lei. Colpa mia. Voi che avete la verità in tasca continuate pure a illuminare il mondo“, ha detto ancora il cantante.

La reazione del web, il tweet della discordia

Pare, però, che la sua frase “Finire sotto 100 lupi in galera” non sia piaciuta. Allora il Ermal Meta si spiega meglio: “Quando subisci uno stupro quel dolore dura per sempre. Ciò che ho scritto è stato dettato dalla rabbia di un libero cittadino, il dolore non deve essere necessariamente personale per poterlo sentire. Ho conosciuto persone che hanno subito stupri e dopo vent’anni il loro dolore è ancora vivo“.

Intervistato da Tg1 “Mattina estate”, ha chiarito la portata delle sue affermazioni: “Quando compi uno stupro, l’eco di quel crimine dura per tantissimo tempo. Io non ho conosciuto stupratori che hanno fatto 25 anni di galera, ma ho conosciuto vittime di stupro che hanno fatto 20 anni di psicofarmaci. Non è quella forse una prigione?“.

Io non ho scatenato nessun odio, l’odio viene scatenato da una certa passività. Spesse volte il non interesse su quello che accade viene travestito da una sorta di garantismo, e non può essere più così“, ha detto rispondendo a chi lo ha accusato di aver, con le sue parole, incitato proprio all’odio contro i ragazzi indagati.

È giusto educare – ha concluso – ma anche punire qualora l’educazione non funzioni. Tutti i giorni incontro persone che esprimono le proprie paure e la più grande paura è diventata quella dell’altro“.

Non è forse questo caso – l’ennesima pagina di cronaca – indice di un fallimento generale della società? Riflettiamo e agiamo di conseguenza.