PALERMO – Il Triunale di Palermo ha disposto tre provvedimenti di confisca irrevocabili di beni – del valore complessivo di circa 2 milioni di euro. Questi sono a carico di Stefano Bologna (63enne), Tommaso Di Giovanni (di 59 anni) e Nicolò Testa (nato nel 1962 e deceduto nel 2023).
Beni che sono entrati definitivamente a far parte del Patrimonio dello Stato.
Il sistema di spaccio di Stefano Bologna
Per Bologna erano scattate le manette nell’ottobre del 2021 nell’ambito della cosiddetta operazione “Nemesi“. Il malvivente era ritenuto responsabile di diverse cessioni di hashish e marijuana, motivo per cui è ststo condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione. Dalle indagini è emersa l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacente nel quartiere Sperone.
Tra gli aspetti di rilievo vi era anche il coinvolgimento negli illeciti traffici di intere famiglie, pronte a includere anche minorenni. Gli spacciatori svolgevano il loro “business” nelle strette vie del quartiere, nelle loro abitazioni e, addirittura, nelle camerette dei figli minorenni.
I beni confiscati al 63enne ammontano a circa 500mila euro e riguardano un bar situato a Bagheria – con relativo complesso dei beni aziendali – e 4 rapporti bancari.
Confisca di beni: i guai per Tommaso Di Giovanni
Per quanto riguarda Di Giovanni, il malvivente era coinvolto nell’operazione “Atena“, accusato di aver diretto con i fratelli il “mandamento mafioso di Porta Nuova”, motivo per cui ha ricevuto una condanna in via definitiva di 15 anni e 6 mesi. Per il 59enne erano scattate le manette anche nell’ambito delle operazionii “Perseo” e “Pedro”.
Il provvedimento odierno – beni che ammontano a quasi 700mila euro – riguardano:
- un’impresa individuale e un intero complesso dei beni aziendali di impresa individuale, con sede in Palermo, avente attività di commercio al minuto di carni;
- un fabbricato composto da 10 vani su tre elevazioni a Palermo;
- un’abitazione ultrapopolare, situato a Palermo;
- mezzo locale per uso commerciale, sempre nel capoluogo siciliano.
Il sequestro di 800mila euro a Testa
L’operazione “Panta Rei” – nel 2015 – aveva visto il coinvolgimento di Nicolò Testa, accusato di aver retto la “famiglia mafiosa di Bagheria” e, in particolare, di essere stato un punto di riferimento per l’imposizione delle estorsioni nell’area di influenza. Motivo per cui ha riportato una condanna di primo e secondo grado di 13 anni e 6 mesi di reclusione.
Dalle indagini è emerso che Testa era un soggetto interessato personalmente nella gestione della latitanza di Bernardo Provenzano; e ancora, era una persona di fiducia del noto esponente mafioso Giuseppe Di Fiore.
I beni confiscatigli ammontano a circa 800mila euro e riguardano un’impresa individuale, operante nel settore edile, con relativo complesso dei beni aziendali, e due appezzamenti di terreno.