Falcone, per Ayala non fu ucciso solo dalla mafia: Cosa Nostra al Nord grazie alle “porte aperte”

PALERMO – La strategia attuata per uccidere Giovanni Falcone sarebbe il frutto di un’ intelligenza sopraffina che va oltre la mano che ha fatto esplodere l’esplosivo.

Secondo il magistrato Giuseppe Ayala, vicepresidente della Fondazione Falcone, non sarebbe stata, quindi, solo la mafia a provocare la morte del collega palermitano. Lo stesso Ayala si è augurato di assistere al momento in cui, finalmente, sarà fatta chiarezza sulla vicenda che ha scosso profondamente la politica italiana degli anni ’90.

In una nota, è stata anche spiegata da Ayala l’esperienza del “pool antimafia”: con il pool – cioè un gruppo di magistrati impegnati al contrasto della mafia in Italia – il magistrato avrebbe voluto restituire dignità allo Stato e alla gente per bene. In Italia, però, il problema più grande rimane il tasso di illegalità: le organizzazioni criminali si sarebbero infiltrate nel Nord del Paese, non tanto con l’uso del tritolo, ma grazie alle porte aperte che avrebbero trovato.

Il progetto del cosiddetto “pool antimafia” nacque dall’idea di Rocco Chinnici, inizialmente avvalendosi della collaborazione di Falcone, di Paolo Borsellino e di Giuseppe Di Lello, ma successivamente sarebbe stato sviluppato da Antonino Caponnetto (subentrato a Chinnici, ucciso il 29 luglio 1983). I quattro magistrati erano affiatati, amici e con un sogno comune: restituire Palermo ai palermitani e la Sicilia ai siciliani onesti.